REFERENDUM mi astengo perchè ...
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Forza Italia invita ad astenersi su tutti i 5 referendum per i quali si vota domenica e lunedì. Questo invito è rivolto soprattutto a quanti intendono recarsi al seggio, ritirare le schede e votare No. Sarebbe questo un aiuto indiretto ai fautori del Sì, in quanto questi referendum come altri sono condizionati dal raggiungimento del quorum. E basta guardarsi attorno per rendersi conto che in questo caso sarebbe sicura la vittoria del Sì perché è il solo schieramento che ha fatto campagna elettorale investendo mezzi cospicui, che ha avuto il sostegno dei media, mentre il No è sostenuto da forze minoritarie destinate a fare solo testimonianza, perché l’attuale maggioranza ha deciso – giustamente – di non impegnarsi nella difesa di norme di cui non porta nessuna responsabilità, perché quando furono approvate i partiti della coalizione ora in maggioranza erano all’opposizione. Non è un caso che la propaganda del Sì si sia orientata sulla messa in scena del dovere civico del voto (nella storia di ben 77 referendum svolti in Italia è successo a tutti i partiti di avvalersi della rendita di posizione dell’astensione) perché sanno bene quale sarebbe l’esito, a loro favore, in caso di conseguimento del quorum. Mentendo lasciano intendere che sarebbe ripristinata la reintegra nel posto di lavoro in ogni caso di licenziamento illegittimo come prevedeva l’articolo 18 dello Statuto del 1970. Non è così. Nel caso di abolizione totale del decreto che ha istituito il contratto a tutela crescenti (peraltro già massacrato dalla giurisprudenza costituzionale), si applicherebbe a tutti i lavoratori dipendenti l’articolo 18 come modificato dalla legge n. 92 del 2012 che ha già disposto il risarcimento economico nel caso di licenziamento per motivi oggettivi ritenuto illegittimo. Verrebbero poi meno alcune condizioni di vantaggio per i lavoratori previste nel jobs act ma non nel nuovo articolo 18.
Tutto ciò premesso in termini generali vediamo i quesiti uno per uno
1- Nel referendum sul jobs act si profila un disegno della sinistra reazionaria per cancellare il lavoro di quella riformista, senza che ai lavoratori derivi alcun beneficio dall’eventuale vittoria del Sì. Mentendo la sinistra politica e sindacale lascia intendere che sarebbe ripristinata la reintegra nel posto di lavoro in ogni caso di licenziamento illegittimo come prevedeva l’articolo 18 dello Statuto del 1970. Non è così. Nel caso di abolizione totale del decreto che ha istituito il contratto a tutela crescenti (peraltro già massacrato dalla giurisprudenza costituzionale), si applicherebbe a tutti i lavoratori dipendenti l’articolo 18 come modificato dalla legge n. 92 del 2012 che ha già disposto il risarcimento economico nel caso di licenziamento per motivi oggettivi ritenuto illegittimo. Verrebbero poi meno alcune condizioni di vantaggio per i lavoratori previste nel jobs act ma non nel nuovo articolo 18..
2- Il secondo quesito riguarda la disciplina dei licenziamenti nelle piccole imprese, per le quali, in caso di licenziamento ritenuto illegittimo opera dal 1966 (legge n. 604) opera, per evidenti ragioni, la sanzione di una indennità risarcitoria fino a un massimo di 6 mensilità di retribuzione. La vittoria dei Sì abrogherebbe questo tetto consentendo al giudice di fissare discrezionalmente l’ammontare del risarcimento. Potrebbe determinarsi il paradosso della condanna di una piccola impresa a dover pagare un risarcimento maggiore di quello imposto ad una grande, per la quale il massimale si ridurrebbe, peraltro, da un massimale di 36 a uno 24 mensilità.
3- Quanto al quesito sul lavoro a termine se passasse il referendum verrebbe a mancare ogni flessibilità nell’assunzioni a tempo determinato; ora consentite per 12 mesi senza l’indicazione di una causale, che diventa necessaria trascorso questo periodo secondo le indicazioni previste nei contratti collettivi. L’esistenza di una causale è sempre accertabile in giudizio e quindi avremmo un incremento del contenzioso. È una pia illusione, poi, pensare che un’azienda assuma a tempo indeterminato per evitare il rischio di essere chiamata in giudizio alla conclusione di un rapporto a termine. Peraltro si tratta di un quesito antistorico che entra in conflitto con una realtà nella quale è in corso un processo reale che vede la trasformazione dei contratti a termine in tempo indeterminato e che rischierebbe di irrigidirsi.
4- Il 4° referendum interviene in materia di corresponsabilità solidale tra azienda committente e appaltatrice. Anche per questo quesito la sinistra lascia intendere che sarebbe un nuovo inizio nella disciplina degli appalti. Non è così perché già ora le norme prevedono che, in tutti i casi di appalto di opere o servizi che si collochino nell’ambito dell’attività svolta dall’impresa committente, quest’ultima è corresponsabile in solido con l’appaltatrice o subappaltatrice per gli infortuni accaduti ai dipendenti di quest’ultima, salvo che l’attività dell’appaltatrice sia totalmente estranea a quella dell’impresa committente, generando quindi rischi specifici sui quali quest’ultima non ha competenza tecnica. Se prevalgono i “sì” e viene raggiunto il quorum, l’effetto sarà l’abrogazione di questa eccezione, peraltro ragionevole: si applicherà, cioè, la corresponsabilità solidale della committente anche nel caso in cui l’infortunio accaduto al dipendente dell’appaltatrice sia conseguenza di un rischio specificamente proprio dell’attività di questa, ancorchè estraneo all’attività della committente.
5- Il quesito sulla cittadinanza dimezza da 10 a 5 anni il tempo che deve intercorrere - come residenza continuativa – per ottenere la cittadinanza. Secondo Forza Italia (impegnata a rivedere la normativa sulla cittadinanza) è sbagliato trattare argomenti così complessi attraverso la ghigliottina di un referendum
Referendum e verità
Referendum e verità sul lavoro Servidori referente dipartimento lavoro FI Emilia/Romagna
Alessandra Servidori
Il lavoro migliora e da anni ecco perché non andare a votare sulle bugie dei quesiti del referendum e ringrazio Panetta perché scrive la verità sulla parte relativa al mercato del lavoro – Relazione Banca d’Italia 2024 pag 111- e le/ gli Italiani non seguano Landini e la sinistra bugiarda perché la battaglia politica si fa sui numeri e non sulle bugie.
-Per tutto il 2024 l’occupazione ha continuato ad aumentare nonostante una crescita più flessibile : il numero degli occupati è aumentato del 1,6 % e le ore lavorate del 2,1% nel 2024 che si sommano all’aumento del 1,9% e il 2,5 % del 2023 e prendendo come riferimento il 2013 prima del jobs act le ore lavorate sono aumentate più di quanto sia aumentata la disoccupazione
-Non sono aumentati i contratti part time e soprattutto quelli involontari e quindi NON sono diminuite le ore lavorate volontarie : poiché l’aumento delle ore lavorate per addetto 0,5 % sono frutto del minore ricorso al part time la cui incidenza è scesa di quasi un punto percentuale al 16,8% nella fascia di età tra i 15 e 64 anni ed è ancora diminuita la quota di chi svolge un lavoro a part time ma ne desidererebbe uno a ful time al 51,3% nel 2024 poiché nel 2023 era del 54,8% e nel 2019 era del 65,6%
-Non è vero che è aumentato il lavoro precario perché il lavoro dipendente a tempo indeterminato ha trainato l’occupazione ed è calato quello a termine e anche il lavoro autonomo è salito se pur limitatamente
- I dati Inps dicono che i contratti a tempo indeterminato ha favorito un basso tasso di licenziamento e la trasformazione dei contratti temporanei a t indeterminato ma vero è che si sono ridotte le assunzioni dei giovani ma nel 2024 la disoccupazione giovanile nel 2024 è scesa al 6,5% il valore più basso da 17 anni e la riduzione è stata maggiore nella fascia tra i 15 e 24 anni e ora che siamo nel 2025 nei primi mesi del 2025 il numero degli occupati ha ricominciato a crescere con il contributo del pnnr e cosi l’occupazione è continua in crescita nei lavorati anziani ma anche tra i giovani .
Le mie osservazioni su
- Sulla sicurezza ed appalti : Già oggi, in tutti i casi di appalto di opere o servizi che si collochino nell’ambito dell’attività svolta dall’impresa committente, quest’ultima è corresponsabile in solido con l’appaltatrice o subappaltatrice per gli infortuni accaduti ai dipendenti di quest’ultima. La norma che il referendum intende abrogare è solo quella che prevede un’eccezione nel caso in cui l’attività dell’appaltatrice sia totalmente estranea a quella dell’impresa committente. Se Il/la dipendente dell’impresa appaltatrice subisce un infortunio che possa considerarsi rientrante nel rischio specifico proprio dell’attività dell’impresa stessa (dunque estraneo al rischio proprio dell’attività della committente), oggi la norma oggetto del referendum esclude la responsabilità dell’impresa committente. Se la norma in questione venisse abrogata, l’impresa committente sarebbe corresponsabile del danno subito dal dipendente dell’appaltatrice, anche in conseguenza di un rischio sul quale la committente stessa non ha alcuna competenza. Imporre alla committente una corresponsabilità solidale per un rischio estraneo alla sua attività normale è del tutto irragionevole: anzi, perché la Corte costituzionale abbia ammesso questa iniziativa referendaria, dal momento che il risultato dell’ipotetico prevalere del “sì” all’abrogazione presenterebbe evidenti profili di irragionevolezza mi è oscuro.
Poi comunque con l’Accordo STATO REGIONI dell’ aprile scorso che finalmente è stato siglato il 17 aprile tra Stato Regioni Province che attua quanto introdotto nel 2021 e che con la decisione del Governo ne ha la copertura finanziaria è veramente la questione più complessa. Si tratta di importanti modifiche all’art 37 del dlgs 81/2008 – TU cioè il testo unico salute e sicurezza sui luoghi di lavoro- più volte novellato soprattutto in materia di formazione dei lavoratori e dai loro rappresentanti già previsto dal decreto 146 / 2021. L’accordo andava recepito entro il giugno del 2022 per provvedere alla rivisitazione ,modifica in materia di formazione per garantire la durata e i contenuti dei moduli obbligatori a carico anche del datore di lavoro e non solo preposto , le verifiche di apprendimento dei discenti, l’aggiornamento obbligatorio costante. L’allegato A dell’Accordo è fondamentale perché stabilisce le responsabilità del datore di lavoro ( già peraltro declinate dall’art 18 del TU ) nonché l’art 97 sempre del TU del datore di lavoro dell’impresa affidataria, chiarendo così la questione dei pericolosi sub appalti,dei cantieri mobili, alla redazione dei piani di sicurezza.
- Cittadinanza da 10 a 5 anni Noi siamo il paese che rilascia maggiori riconoscimenti di cittadinanze per i vari motivi previsti : 230 mila ogni anno
L’articolo 9 della Legge 91/1992 disciplina la concessione della cittadinanza per naturalizzazione, che rappresenta una delle modalità più comuni di acquisizione per gli stranieri residenti in Italia. La cittadinanza può essere concessa allo straniero che risiede legalmente in Italia da:
- 10 anni per i cittadini non comunitari
- 4 anni per i cittadini dell’Unione Europea
- 5 anni per gli apolidi e i rifugiati
- 3 anni per i discendenti di ex cittadini italiani fino al secondo grado e per gli stranieri nati in Italia
- 5 anni per chi ha prestato servizio, anche all’estero, alle dipendenze dello Stato italiano
Il decreto-legge n.36/2025, approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 marzo 2025, ha introdotto importanti novità nella disciplina della cittadinanza, in particolare per quanto riguarda l’acquisizione per ius sanguinis. Secondo quanto riportato da fonti autorevoli, “l’attuale normativa sul riconoscimento della cittadinanza per jus sanguinis negli ultimi anni ha evidenziato un incremento abnorme delle istanze”, tanto che il Ministero degli Esteri ha stimato che gli oriundi italiani nel mondo che potrebbero richiedere la cittadinanza italiana sono tra i 60 e gli 80 milioni.Le principali novità introdotte dal decreto mirano a: Contrastare gli abusi che hanno permesso a persone con avi italiani di ottenere la cittadinanza senza avere effettivi legami con l’Italia-Ridurre il carico di lavoro dei consolati e dei comuni italiani-Aumentare il costo per le richieste di cittadinanza (fino a 700 euro)-Introdurre requisiti più stringenti per dimostrare l’effettivo legame con l’Italia
Poi per non farci mancare nulla e non trascurare la questione famiglia : come nel 2023, un forte contributo ai redditi delle famiglie è derivato dall’aumento dell’occupazione. Secondo nostre elaborazioni sui dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat relativi ai primi tre trimestri del 2024, fra i nuclei la cui persona di riferimento ha meno di 65 anni e nei quali non sono presenti pensionati, si è ulteriormente ridotta la quota delle famiglie senza occupati, soprattutto nel Mezzogiorno (al 23,6 per cento dal 24,5 del 2023; al 9,7 per cento dal 10,0 nel Centro Nord), ed è aumentata la percentuale di quelle con due o più adulti che lavorano. Nel 52,6 per cento delle famiglie considerate è presente almeno una donna con un impiego, un valore superiore a quello del 2019 (51,3 per cento), in linea con l’andamento del tasso di occupazione femminile.
Certo rimangono dei problemi che dobbiamo affrontare ma non dicendo menzogne e magari assumendosi la responsabilità di studiare la verità e fare in modo di sostenere l'economia e non il dissenso.
Rapporto Istat Francesco Comellini dixit
Rapporto ISTAT 2025, tra demografia, disuguaglianze e disabilità. Un appello alla coerenza riformatrice tra diritti sociali e stabilità politica.
Il Rapporto ISTAT 2025, nella sua limpida e impietosa rappresentazione dello stato del Paese, propone numeri che non lasciano spazio a letture rassicuranti. L’Italia è un Paese sempre più anziano, segnato da una denatalità strutturale, da un saldo migratorio insufficiente a riequilibrare la curva demografica, e da un aumento progressivo delle condizioni di disabilità e non autosufficienza. A fronte di questi dati, la piena attuazione delle riforme sociali già approvate costituisce oggi una sfida tanto prioritaria quanto impegnativa.
Tra i decreti legislativi emanati in attuazione della legge delega 227/2021 in materia di disabilità, il n. 62 del 2024 è attualmente in fase di progressiva attuazione sperimentale. Il suo impianto — che introduce la definizione giuridica unitaria della condizione di disabilità, la valutazione multidimensionale e i progetti di vita personalizzati — è oggetto di una prima applicazione su scala territoriale limitata, finalizzata a testare l’efficacia operativa delle nuove procedure e a validare modelli integrati di presa in carico. Si tratta di un passaggio delicato ma essenziale, che potrà fungere da base per la piena generalizzazione del sistema a partire dal 2027, a condizione che siano garantiti strumenti stabili di governance, formazione, accompagnamento e, soprattutto, per il monitoraggio dell'efficacia delle misure adottate in termini di risultato sociale e di effettiva inclusione delle persone con disabilità o non autosufficienti.
Il successo della riforma non dipenderà solo dalla qualità normativa o dalle coperture finanziarie, ma dalla capacità delle istituzioni pubbliche, a tutti i livelli, di mantenere coerenza e continuità politica. Su questo versante, non possono essere ignorate le tensioni emerse all’interno della maggioranza di governo, che hanno messo in risalto, anche pubblicamente, posizioni che alludono a una possibile rimodulazione dei rapporti di coalizione. È comprensibile ma meno condivisibile, che su specifici temi di interesse regionale o su scelte interpretative in materia di prerogative locali si possano registrare divergenze; tuttavia, ogni forzatura o rottura dell’equilibrio di governo rischia di compromettere la solidità istituzionale necessaria alla realizzazione di riforme così complesse e attese. In particolare, proprio nel settore della disabilità, dove la responsabilità ministeriale è attualmente attribuita a uno dei partner della maggioranza di governo, occorre richiamare tutti i soggetti istituzionali a una coerenza piena con il mandato ricevuto, nella consapevolezza che le cittadine e i cittadini destinatari delle riforme valuteranno nel merito l’effettiva messa a terra delle promesse elettorali.
La legge delega n. 33/2021 sulla non autosufficienza, insieme al decreto legislativo n. 29/2024, ha tentato di costruire un primo impianto sistemico per la presa in carico integrata delle persone anziane fragili, promuovendo l’assistenza domiciliare e superando l’attuale frammentazione tra sanitario e sociale. Ma anche qui, le considerazioni appena dette sulla stabilità necessaria, rischiano di incidere sui tempi di piena attuazione che già sembrano incerti, mentre la pressione demografica cresce. Il Rapporto ISTAT 2025 stima che nei prossimi quindici anni oltre sei milioni di persone ultra65enni vivranno in condizioni di solitudine. Tale dato, già di per sé drammatico, assume una rilevanza ancora maggiore se posto in relazione al rischio di perdita dell’autosufficienza e all'insufficiente offerta di cure formali accessibili su tutto il territorio.
In questo scenario, OSPERDI ETS propone una riflessione di fondo: occorre un cambiamento strutturale nel modo in cui lo Stato alloca e valorizza la spesa pubblica. La centralità del benessere e della salute della persona — come diritto sociale, come condizione di libertà individuale e come leva per la partecipazione economica — deve diventare il perno di un nuovo paradigma redistributivo. Non si tratta soltanto di destinare più risorse o di destinare quelle ritenute adeguate a soddisfare i bisogni della platea dei destinatari, che deve essere puntualmente individuata, ma di farlo in modo coerente con un disegno strategico che riconosca il valore economico della cura. Investire in salute, domiciliarità, accessibilità, inclusione e non autosufficienza significa liberare risorse oggi vincolate al risparmio forzato delle famiglie, invertire la curva del consumo privato, e generare nuova occupazione nei settori dell’assistenza, dell’educazione, della mediazione e della tecnologia assistiva. Si tratta, in sintesi, di attivare un circuito virtuoso tra investimento sociale e ripresa economica, spostando il baricentro della spesa da misure residuali a politiche strutturali.
I dati del documento “Analisi e tendenze della finanza pubblica” confermano quanto questa transizione sia oggi necessaria. Le voci di spesa in ambito socioassistenziale e sanitario, se ben coordinate e rese strutturali, possono divenire un asse di sostenibilità per il sistema economico, specie se accompagnate da una razionalizzazione della spesa fiscale improduttiva e da un’effettiva attuazione dei LEP in ambito sociale. Tuttavia, proprio il disegno di legge sui LEP, approvato il 19 maggio scorso dal Consiglio dei Ministri, pur rappresentando un passaggio tecnico rilevante, dovrà essere valutato sulla base della sua effettiva applicabilità. È auspicabile che l’estensione del processo di definizione dei livelli essenziali sia coerente anche con le aree qui analizzate — disabilità, non autosufficienza, politiche e servizi di comunità — evitando ogni riduzione frammentaria e settoriale dei diritti sociali.
Il Rapporto ISTAT 2025 rappresenta non solo un allarme, ma anche un’opportunità: quella di scegliere la direzione del cambiamento. La sfida che ci pone innanzi l'ISTAT non è più rinviabile e impone una visione che tenga insieme demografia e sviluppo, diritti e sostenibilità, prossimità e innovazione. I dati, le norme, le risorse ci sono. Le riforme, ancorché sperimentali e migliorabili, sono avviate. Serve adesso la forza politica di costruire un’alleanza istituzionale ampia, coesa e stabile, capace di preservare la fiducia dei cittadini, anche dei più fragili e, con essa, nuova vitalità all’intero Paese.
Francesco Alberto Comellini
Componente del Comitato Tecnico Scientifico dell'Osservatorio Permanente sulla Disabilità - OSPERDI ETS
La norma,la voce,la promessa.Diritto,letteratura e memoria nel contrasto all'antisemitismo
da Prof.Vincenzo Pacillo
La norma, la voce, la promessa. Diritto, letteratura e memoria nel contrasto all’antisemitismo
Il 5 maggio 2025, presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Modena e Reggio Emilia, si è tenuto il convegno “Patrimonio culturale immateriale e percorsi di diritto, religione e letteratura. Paul Ricoeur, Chaim Potok e la letteratura ebraica”, promosso e coordinato dal Professor Vincenzo Pacillo di UNIMORE e presieduto dalla Professoressa Alessandra Servidori, con la partecipazione attiva della Professoressa Marina Orlandi Biagi. Il seminario ha rappresentato un momento di particolare rilievo nel panorama delle iniziative accademiche a sostegno della lotta contro l’antisemitismo, ponendosi in piena sintonia con gli obiettivi enunciati nelle Linee Guida Nazionali per il contrasto all’antisemitismo 2025 e con la Strategia Europea 2021–2030, in particolare nella parte in cui si sottolinea la necessità di rafforzare la trasmissione della memoria, la conoscenza della storia e della cultura ebraica e la valorizzazione del patrimonio culturale e religioso ebraico come parte integrante dell’identità democratica europea. Il convegno ha offerto un approccio interdisciplinare in cui diritto e letteratura hanno dialogato per restituire profondità storica, consistenza simbolica e pertinenza civile alla cultura ebraica in Europa: il fulcro della riflessione non è stato posto sulla difesa astratta del patrimonio, ma sulla sua riattivazione critica, come processo partecipato e attuale, in linea con la Convenzione di Faro. Il patrimonio culturale immateriale — norme, racconti, riti, memorie — è stato qui concepito non come eredità da conservare passivamente, ma come linguaggio vivo, che richiede interpretazione e responsabilità. Tale impostazione ha reso l’evento un esempio concreto di attuazione dei principi di valorizzazione e partecipazione previsti dalle linee guida nazionali e internazionali.
Le relazioni hanno affrontato il rapporto tra narrazione e identità ebraica, memoria e giuridicità, vocazione e responsabilità. Al centro della riflessione del Prof. Daniele Cananzi dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria si è posta la figura di Paul Ricoeur, la cui idea di memoria difficile — una memoria capace di distinguere tra il ricordo e la mitizzazione, tra la narrazione e l’ideologia — è risultata centrale per ripensare le forme contemporanee della trasmissione culturale. La memoria, in Ricoeur, non è ripetizione, ma costruzione narrativa consapevole, capace di aprire uno spazio per il riconoscimento e la giustizia. In questo senso, è apparso evidente come l’identità narrativa, il concetto chiave dell’antropologia filosofica ricoeuriana, rappresenti uno strumento prezioso per la costruzione di una cittadinanza inclusiva, in cui le tradizioni — anche quelle minoritarie — non siano oggetto di tutela passiva, ma soggetto attivo di elaborazione e mediazione.
Il Professor Fabio Franceschi ( Università La Sapienza di Roma) ha proposto una lettura dell’opera di Isaac Bashevis Singer come spazio di trasmissione profonda della memoria ebraica, capace di tenere insieme narrazione, identità e stratificazione storica. Attraverso una selezione mirata di testi, ha evidenziato come la lingua yiddish, i temi della fedeltà, del dubbio e del rapporto con la legge religiosa, siano strumenti non solo estetici ma ermeneutici, in grado di restituire una cultura lacerata dalla storia e tuttavia ancora generativa. La letteratura, in questa prospettiva, si configura come un ponte narrativo che unisce la dimensione personale della fede con quella collettiva della sopravvivenza culturale, rendendo accessibile a una società secolarizzata il patrimonio simbolico dell’ebraismo mitteleuropeo.
La Dottoressa Elena Siclari dell’Università Mediterranea ha invece concentrato la sua relazione sull’etica del dono nel pensiero di Paul Ricoeur, con particolare riferimento al Parcours de la reconnaissance e ad altri scritti che pongono in dialogo giustizia, alterità e agape. Lungi dall’essere un gesto sentimentale, il dono, in Ricoeur, rappresenta una struttura fondamentale del legame sociale: una modalità di costruzione della relazione giuridica fondata sulla gratuità, sull’eccedenza e sull’attenzione per l’altro. La relazione ha mostrato come tale logica sia fondamentale per pensare forme di giustizia che non si riducano alla distribuzione simmetrica dei diritti, ma che sappiano includere il riconoscimento come dimensione costitutiva del vivere insieme, con e per l’altro, all’interno di istituzioni giuste.
La relazione della Dottoressa Basira Hussen (SSML di Mantova - UNIMORE ) si è soffermata sul racconto Blood di Singer, portando alla luce il rischio che ogni tradizione normativa corre quando si cristallizza nella ripetizione formale, perdendo la connessione con la sua vocazione originaria. In questo racconto, la norma non viene violata, ma osservata in modo sterile, privata della sua forza simbolica e spirituale: un monito potente contro il pericolo di ridurre la religione, l’identità e la cultura a pure strutture amministrative o rituali svuotati di senso. Hussen ha evidenziato la profondità del paradosso messo in scena da Singer: si può essere perfettamente conformi alla norma, eppure profondamente infedeli al suo spirito. A partire da questa intuizione narrativa, l’intervento ha interrogato il ruolo del diritto religioso nella contemporaneità, mostrando come la normatività, se priva di interpretazione e vocazione, rischi di diventare puro dispositivo, incapace di orientare e di salvare. La riflessione di Hussen ha trovato un punto di convergenza con le istanze sollevate dalla Convenzione di Faro e dalle strategie per il contrasto all’antisemitismo, là dove si sottolinea l’importanza di un patrimonio culturale condiviso non come insieme di norme da custodire, ma come linguaggio vivente da comprendere, rinnovare e trasmettere.
Il convegno ha dimostrato, con chiarezza teorica e profondità culturale, che la lotta all’antisemitismo passa attraverso il riconoscimento del patrimonio ebraico come risorsa viva, mai ridotta a commemorazione, ma portatrice di senso nel presente. Ha mostrato che la prevenzione dell’antisemitismo richiede strumenti culturali e giuridici capaci di agire sul piano educativo e simbolico, promuovendo la conoscenza della storia e della pluralità dell’esperienza ebraica come condizione per la costruzione di una memoria democratica condivisa.
È in questa direzione che il convegno del 5 maggio ha offerto un contributo centrale : non nel proporre ricette, ma nel ricostruire l’intreccio tra norma, memoria e narrazione. In un tempo in cui l’antisemitismo assume forme indirette e culturalmente mediate, solo un approccio capace di valorizzare la profondità simbolica della tradizione ebraica può garantire una protezione autentica. Non si protegge ciò che non si capisce. Non si trasmette ciò che non si interroga. E non si costruisce un futuro europeo comune se non si riconosce — anche attraverso il diritto e la cultura — la centralità della memoria ebraica come parte della nostra idea di giustizia.
A SAN PATRIGNANO il 31 maggio a parlare con le ragazze e i ragazzi di lotta alla discriminazione e antisemitismo
FESTIVAL CC'E - CALCIO COMUNITA’ EDUCANTE II EDIZIONE Aula SNA1 CONFERENZA STAMPA PRESSO L’UNIVERSITÀ DEL FORO ITALICO DI ROMA
Il testimonial del Festival CC’E Fabio Capello, Franco Parasassi, Presidente Fondazione Roma, da sempre vicino a progetti che promuovono l’impegno sociale e culturale interverranno insieme a Franco Carraro, presidente DCPS - Gabriele Gravina, presidente FIGC - Luca Pancalli, presidente CIP - Marco De Paolis, procuratore generale militare - Marco Rossi Doria, presidente Con I Bambini, Mattia Peradotto, presidente UNAR - Alessandra Servidori Componente CIDU- Renzo Ulivieri, presidente AIAC - Luigi De Siervo, Amministratore delegato Lega Serie A - Paolo Corsini, direttore Rai Approfondimenti - Riccardo Pescante, vicedirettore di Rai Sport - Vittorio Bosio, presidente del CSI
Sabato 31 Maggio 2025 - presso Comunità di San Patrignano, Coriano (RN) - Accoglienza a cura delle ragazze e dei ragazzi della Comunità - h. 10.00- 11.00 Allenamento Inter Aib Special - h. 11.00-12.00 Panel presso Auditorium della Comunità di San Patrignano –
Panel 1 Antisemitismo e contrasto al razzismo Modera: Adam Smulevich Intervengono: Alessandra Servidori, Angelo Argento e rappresentanti di Unar, Lega Serie A, LND, Figc, rappresentanti CSR
h. 12.30 Pranzo per gli atleti e gli ospiti insieme alle ragazze e ai ragazzi della Comunità
Incontro governo sindacati : HO LE IDEE CHIARE
ALESSANDRA SERVIDORI
L’incontro di domani ? abbiamo già le idee chiare
Sui referendum NON andare a votare è la linea che condivido pienamente perché su temi fondamentali come
* prevenzione salute e sicurezza abbiamo già sottolineato che l’Accordo Stato Regioni che dà le gambe E’ finalmente stato siglato il 17 aprile l’accordo Stato Regioni Province che attua quanto introdotto nel 2021 e che con la decisione del Governo ne ha la copertura finanziaria che è veramente la questione più complessa. Si tratta di importanti modifiche all’art 37 del dlgs 81/2008 – TU cioè il testo unico salute e sicurezza sui luoghi di lavoro- più volte novellato soprattutto in materia di formazione dei lavoratori e dai loro rappresentanti già previsto dal decreto 146 / 2021. Siamo clamorosamente in ritardo poiché l’accordo andava recepito entro il giugno del 2022 per provvedere alla rivisitazione ,modifica in materia di formazione per garantire la durata e i contenuti dei moduli obbligatori a carico anche del datore di lavoro e non solo preposto , le verifiche di apprendimento dei discenti, l’aggiornamento obbligatorio costante . Ciò riguarda l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, che dovrà essere esercitata da molti operatori in concorrenza tra loro, premiando chi occupa davvero le persone svantaggiate. La riqualificazione professionale va mirata a “quella” persona per “quella” impresa.
*- Reputo il JOBS ACT un buon strumento che ha dato respiro, flessibilità e nuove valutazioni sull’occupabilità
*I problemi di salari non adeguati, disomogenea diffusione della contrattazione, bassa produttività, eccessivo peso fiscale e contributivo, difficoltà di ingresso per giovani e donne, disallineamento di competenze. Si devono affrontare con :
Il salario ha progressivamente perso potere d'acquisto che significano un paese "povero". Occorre, dunque, sostenerne la crescita evitando meccanismi di determinazione rigidi, automatici ed ex ante, che possano alimentare la spirale prezzi salari: opportuno valorizzare gli aspetti positivi del sistema contrattuale in essere, che ha permesso il rinnovo di molti contratti senza conflitto, salvaguardando potere di acquisto e redistribuendo i guadagni di produttività. Ripartendo dal cosiddetto Patto della Fabbrica, datato 2018, si può costruire un nuovo equilibrio con l'obiettivo di riarticolare la contrattazione sia orizzontalmente (settori produttivi) sia verticalmente (livelli: nazionale, territoriale, aziendale). E in questo ambito che va posto il tema della tempestività dei rinnovi contrattuali (economici). Sul salario mediano e la retribuzione di accesso per i giovani oggi entrambi soggetti ad un eccessivo peso fiscale e contributivo - piuttosto che sul livello di salario minimo, ampiamente tutelato, come anche certificato dai dati europei.
*Il governo può proporre - oltre alle rapide azioni sulla sicurezza sul lavoro - un percorso per la crescita dei salari e l'occupazione in un quadro di sostenibilità finanziaria.
-Cioè sulle aliquote fiscali e contributive - riducendo quelle che legano salario e produttività/redditività e più in generale riorganizzandole rispetto alla fatica del lavoro -, con una ridefinizione del rapporto tra contrattazione nazionale e contrattazione decentrata;
prevedere clausole di salvaguardia automatiche nel caso i contratti non siano rinnovati entro l'anno (anche mediante sistemi bonus/malus); rafforzare le componenti di salario legate al welfare e più in generale al ben essere delle famiglie; implementare il ruolo delle parti sociali nei sistemi di governance societaria. A ciò si deve affiancare un'azione specifica di politica del lavoro per favorire l'occupazione dei giovani e delle donne. Per il governo non è una operazione complessa perché è una azione puntuale - non si devono certo costruire patti onnicomprensivi - ma è coraggiosa perché spinge ad una riforma profonda e culturale del salario; non è rivoluzionaria ma riformista, perché si può fondare sulle prerogative delle parti sociali e non su una invasiva intrusione della legge, che agirebbe in funzione di sostegno proattivo.
L'agenda per la crescita e lo sviluppo deve essere questa.
LA CHIESA E LE DONNE
LA CHIESA CATTOLICA DI FRONTE AGLI ABUSI SULLE DONNE CONSACRATE
Vincenzo Pacillo - Ordinario di Diritto e religione-UNIMORE
Basira Hussen -Docente a contratto -Unimore - Mantova )
Vincenzo Pacillo Professore ordinario di Diritto e Religione, Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Basira Hussen Docente a contratto, Scuola Superiore Mediatori Linguistici di Mantova.
ABSTRACT SOMMARIO L’articolo esplora la questione de gli abusi all’interno della Chiesa cattolica, concentrandosi sulla violenza—sia fisica che psicologi ca—spesso trascurata, subita dal le suore e dalle donne consacrate per mano di coloro che occupano posizioni di autorità. Sebbene ne gli ultimi decenni molta attenzio ne sia stata rivolta agli abusi sui minori, la condizione delle religiose è rimasta nell’ombra, nonostante la sua natura sistemica. Lo studio analizza le strutture gerarchiche e isolanti che favoriscono questi abusi, evidenziando la cultura del silenzio che perpetua l’impunità e la paura. 1. La presa di coscienza della questione degli abusi sulle religiose - 2. La questione degli abusi sulle religiose tra teologia e diritto canonico: il retroterra - 3. La peculiare situazione delle religiose che vivono in conventi o mona steri - 4. Le riforme: Vos estis lux mundi, Pascite gregem Dei e prospettive de iure condendo - 5. Due questioni aperte: la definizione di “persona vulnerabile” e la clausura. L’articolo approfondisce l’abuso spirituale vissuto dalle suore, in cui il controllo coercitivo e la sacralizzazione dell’autorità le privano della loro autonomia e dignità. Esamina casi specifici in cui il potere viene esercitato in modo repressivo, rivelando un problema diffuso di dipendenza economica, esclusione dai processi decisionali e persino manipolazione in nome dell’obbedienza e della fede. Attraverso prospettive teologiche e canoniche, lo studio discute di come la governance ecclesiastica abbia storicamente emarginato le donne religiose, confinandole a ruoli di servizio ed escludendole da una partecipazione significativa ai processi decisionali. Riforme recenti, tra cui Vos Estis Lux Mundi e Pascite Gregem Dei, hanno introdotto nuovi quadri giuridici per affrontare gli abusi, ma permangono sfide nell’assicurare la loro effettiva applicazione. In definitiva, lo studio afferma che proteggere le donne consacrate dagli abusi non è solo una necessità legale o amministrativa, ma una questione fondamentale di giustizia, dignità e fedeltà al Vangelo.
1 Il presente saggio costituisce la trasposizione in lingua italiana, con l’aggiunta delle note, del paper presentato dagli autori all’edizione del 2024 della European Academy of Religion.
Vincenzo Pacillo è l’autore dei paragrafi 3 e 5. 3 Basira Hussen è l’autrice dei paragrafi 1, 2 e 4.
Caregiver familiari ancora senza disciplina
CAREGIVER : 1° Maggio senza tutele: verso una disciplina amministrativa organica per il caregiver familiare
Che significato ha, per chi si prende cura ogni giorno di un familiare con grave disabilità, contribuendo in modo determinante alla tenuta del sistema di welfare nazionale, celebrare la festa del Primo Maggio? È possibile onorare il lavoro, riconosciuto dalla Costituzione come fondamento della Repubblica, ignorando una figura essenziale che opera senza adeguate tutele e riconoscimento, nonostante il legislatore abbia già introdotto la figura giuridica del caregiver familiare? Il caregiver familiare costituisce parte integrante della rete pubblica della cura: garantisce la permanenza della persona assistita nel proprio ambiente di vita, prevenendo la frammentazione dei servizi e l’istituzionalizzazione. Eppure, questo ruolo, pur formalmente riconosciuto, non è accompagnato da un sistema strutturato di diritti e garanzie effettive. A oltre due anni dalla pronuncia del Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità (3 ottobre 2022), che ha sollecitato l’Italia ad adottare misure legislative a tutela del caregiver familiare, permangono criticità normative e amministrative. Il richiamo ONU, basato sull’art. 28 della Convenzione e sul relativo Protocollo opzionale ratificato con L. 18/2009, ha imposto un adeguamento che lo Stato italiano, al momento, non ha completato. La raccomandazione, pur non configurando obblighi penalmente sanzionabili, comporta precisi doveri in capo alle istituzioni statali in termini di rispetto degli impegni internazionali. Allo stato, pur in presenza di numerose proposte di legge in Parlamento, nessuna disciplina organica è stata approvata.In occasione dell’audizione del 25 febbraio 2025 presso la XII Commissione Affari sociali della Camera, la Ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, ha riepilogato il lavoro del Tavolo tecnico interministeriale istituito nel 2024, con la partecipazione dei Ministeri competenti, INPS, Regioni e rappresentanze associative. La Ministra ha illustrato i tre assi su cui si è concentrato il confronto tecnico: definizione condivisa della figura del caregiver familiare, criteri di riconoscimento e misure proporzionate di sostegno. Ha inoltre dichiarato l’intenzione del Governo di presentare un disegno di legge organico, evitando soluzioni frammentarie. Tuttavia, a oggi, il testo governativo non è stato formalmente depositato e i lavori parlamentari avviati nel 2024 risultano ancora sospesi.L’articolo 1, comma 255, della legge 205/2017 ha introdotto per la prima volta la definizione giuridica del caregiver familiare, ma in assenza di decreti attuativi o strumenti amministrativi applicativi, essa è rimasta priva di efficacia operativa. Non esiste attualmente una procedura uniforme di riconoscimento, né una cornice nazionale che integri misure assistenziali, previdenziali e fiscali. La normativa prevista dal D.Lgs. 62/2024 in materia di progetti di vita individualizzati potrebbe offrire un contesto utile per l’inserimento amministrativo e funzionale del caregiver familiare, ma ciò richiede un'infrastruttura giuridico-organizzativa oggi non disponibile.Un modello di accreditamento presso le amministrazioni pubbliche locali, coordinato centralmente da INPS, permetterebbe di standardizzare i criteri di riconoscimento e abilitare strumenti di tutela progressiva basati sull’intensità e continuità dell’attività di cura. L’INPS, già attore nella gestione di istituti connessi (permessi ex L. 104/1992, congedi straordinari, contributi figurativi), è nelle condizioni tecniche di amministrare un Registro Unico nazionale dei caregiver familiari. I dati più recenti confermano che circa 3 milioni di nuclei familiari usufruiscono di prestazioni connesse alla disabilità, spesso in condizione di fragilità economica e isolamento.L’assenza di una cornice legislativa unitaria e di una base regolamentare condivisa alimenta frammentarietà e disomogeneità territoriale, come confermato anche dai rapporti del Comitato Interministeriale per i Diritti Umani e della CLEP. Alla luce di tali evidenze, si propone l’adozione di un DPCM che, nelle more dell’approvazione legislativa, possa istituire una prima base amministrativa nazionale, individuare la platea dei beneficiari, stabilire i criteri minimi di accesso e avviare la raccolta integrata dei dati attraverso il sistema INPS e le anagrafi regionali.Le audizioni dell’Osservatorio Permanente sulla Disabilità (OSPERDI) e di Alessandra Servidori - CIDU- hanno confermato la necessità di distinguere con precisione il caregiver familiare da figure assistenziali diverse (come badanti o volontari), di definire requisiti trasparenti e di attivare una programmazione delle risorse basata su dati censuari. L’assenza di una regolazione concreta rischia di aggravare le diseguaglianze e di compromettere la fiducia tra cittadini e istituzioni.I dati contenuti nel Rapporto 2024 della Commissione europea mostrano che l’Italia registra tra i più alti tassi di esclusione sociale dei caregiver familiari e uno dei maggiori divari occupazionali tra persone con e senza disabilità. Tali informazioni confermano che la mancata regolamentazione amministrativa genera un impatto negativo sul godimento dei diritti fondamentali, creando discriminazioni indirette e ostacoli all’equità dell’accesso ai servizi.La mancata attuazione concreta del riconoscimento del caregiver familiare potrebbe, ove non risolta, rappresentare un significativo vulnus istituzionale e sociale. In assenza di un’azione normativa o regolamentare, si consolida un divario strutturale che penalizza i nuclei familiari privi di risorse e rete di supporto. È in questo quadro che l’approccio riformatore, ispirato alla gradualità e alla coerenza amministrativa, appare oggi indispensabile.Nel celebrare la Festa del Lavoro, è giunto il momento di estendere il valore costituzionale del lavoro anche a chi lo esercita sotto forma di cura e responsabilità familiare. Lo Stato deve riconoscere, proteggere e sostenere chi, ogni giorno, garantisce concretamente il diritto fondamentale alla cura. Ed è da questa consapevolezza che i caregiver familiari, con dignità, attendono che anche il Primo Maggio diventi una festa che li includa.
Francesco Alberto Comellini -Componente del Comitato Tecnico Scientifico dell'Osservatorio Permanente sulla Disabilità - OSPERDI ETS
Papa FRANCESCO le donne la Chiesa
Alessandra Servidori
Papa Francesco ora riposa in Santa Maria Maggiore e come cattolica , un po' fuori dal coro, consapevole di assumermi la responsabilità che comunque si paga in termini di dissenso di altri, lascio andare le miei riflessioni più sincere.Anche pochi giorni fa non ho condiviso con il referente della pastorale del lavoro della Curia la promozione di un evento ancora sulla falsa riga di quello dell’anno scorso sulla prevenzione salute e sicurezza sul lavoro perché troppo impostato su testimonianze di familiari delle vittime. Bisogna assumersi la responsabilità di agire concretamente. Ho avuto come pecora il privilegio di crescere in tarda età con un maestro unico come Giacomo Biffi che mi ha fatto da pastore fino ad assolvermi dei miei peccati che altri non hanno mai capito quanto dolore e pentimento possono aver massacrato la vita di una donna. Giacomo Biffi teologo eccelso sarebbe potuto essere un ottimo Pontefice ma avversato dalle correnti del clero, ne parlava comunque serenamente e ha lasciato questa terra concedendomi il tempo utile per imparare il Vangelo. Dunque da San Luca , Sant’Agostino,San Matteo e oltre il Cardinale ha sempre valorizzato il ruolo delle donne della Chiesa e mi ha insegnato quanto ancora di strada nei secoli a venire si poteva fare e non si è fatto e non si farà. Dunque ho letto con interesse Lucetta Scaraffia , docente di storia contemporanea che per anni ha collaborato con l’Osservatore romano, ha scritto decine di libri e si è espressa in questi giorni ( come sempre) molto direttamente e in contrasto con il pontificato di Francesco. Certo è che Papa Bergoglio ha lasciato una eredità pesante al suo successore e condivido la verità sulla presenza delle donne nella Chiesa e nonostante i gesti simbolici di Francesco , il peso della presenza femminile non è cambiato. A cominciare dalle congregazioni che si stanno riunendo prima del Conclave e questa assenza prova che alle donne è riservato solo il ruolo di esecutrici anche se nella Chiesa Cattolica lavoriamo , pensiamo, proponiamo, discutiamo, stimoliamo e Papa Francesco lo aveva capito. Da subito ha lavato i piedi di una carcerata musulmana e poi ancora negli anni ha sempre privilegiato questo gesto , accompagnato da una visione molto innovatrice per il ruolo femminile che doveva essere oltre la presidenza della Caritas e nelle parrocchie come perpetue : nella Evangelii Gaudium ha sottolineato come le donne sono indispensabili e una loro presenza più incisiva nella Chiesa in ruoli di pari dignità dei maschi è fondamentale. Per il Giubileo del 2015 ha aiutato con carità a promuovere la possibilità di una donna che ha abortito di confessarsi con un sacerdote sciogliendo il vincolo odioso che la gerarchia ecclesiastica dimostra tutt’ora nei confronti di coloro che hanno interrotto una gravidanza.E ancora il riconoscimento di Maria Maddalena come apostola tra gli apostoli aprendo nuove possibilità al riconoscimento dell’identità e dignità femminile e in seguito l’apertura di due ministeri – accolitato e lettorato - alle letture femminili al servizio all’altare e la catechesi che è da secoli gestito da cattoliche. Io mi auguro che la nuova Commissione voluta da Francesco per il diaconato femminile lavori ad un percorso di crescita della consapevolezza che la presenza nella Chiesa anche a seguito di tante cattoliche nominate da Lui sia un processo inarrestabile . La questione della violenza e degli abusi sessuali in seno alla Chiesa cattolica è una verità seria che va affrontata con l’impulso che ha dato Francesco prese dal Vangelo di Matteo: sono il titolo e le prime parole del nuovo Motu proprio di Francesco dedicato alla lotta agli abusi sessuali commessi da chierici e religiosi, nonché alle azioni o alle omissioni dei vescovi e dei superiori religiosi «dirette a interferire o eludere» le indagini sugli abusi, anche a carico di suore. Il Papa ricorda che i «crimini di abuso sessuale offendono Nostro Signore, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la comunità dei fedeli», e menziona la particolare responsabilità che hanno i successori degli apostoli nel prevenire questi reati ed il documento stabilisce nuove norme procedurali per combattere gli abusi sessuali e assicurare che vescovi e superiori religiosi rendano conto del loro operato. È una normativa universale, che si applica all’intera Chiesa cattolica. Vos estis lux mundi pone l’accento sull’importanza di tutelare i minori (persone con meno di 18 anni) e le persone vulnerabili. Viene infatti ampliata la nozione di “persona vulnerabile”, non più ristretta alle sole persone che non hanno “l’uso abituale” della ragione, fino a comprendere anche i casi occasionali e transitori di incapacità di intendere e di volere, nonché le disabilità di ordine fisico. Non più silenzio omertoso dunque e affidiamo soprattutto alle giovani donne la speranza e gli strumenti per aprire nuove possibilità di una presenza autorevole e indispensabile.
MODENA UNIMORE -5 MAGGIO- Parliamo di letteratura ebraica
UNIMORE -UNIVERSITA’DEGLI STUDI
MODENA/REGGIO EMILIA – Dipartimento studi linguistici e culturali – San Geminiano
MODENA 5 MAGGIO 2025 -h 15,45/17,45
Patrimonio culturale immateriale e percorsi di diritto, religione, letteratura
Paul Ricoeur, Chaim PotoK e la letteratura ebraica
Relatori
Prof. Daniele Cananzi (Università degli Studi Mediterranea)
Prof Fabio Franceschi ( Università di Roma La Sapienza)
Interventi programmati :
Dott.sa Basira Hussen -Unimore-
Dott.sa Elena Siclari -Università degli Studi Mediterranea -
Introduce e presiede : Prof.ssa Alessandra Servidori - Componente CT- PdCM per la Nuova Strategia Nazionale di contrasto all’antisemitismo
CONCLUDE
Prof. Vincenzo Pacillo UNIMORE
Ancora su AI : riflettiamo
Intelligenza artificiale e selezione del personale: governance degli algoritmi, inclusione e ruolo degli stakeholder
L’intelligenza artificiale sta ridefinendo il profilo della selezione del personale, come emerge dall’interessante articolo a firma di Giampaolo Colletti, pubblicato su Il Sole 24 Ore del 23 aprile 2025, nel quale viene illustrato il quadro tracciato dall’Osservatorio Zucchetti HR 2025. Secondo l’indagine, il 70% dei manager intervistati individua nell’IA una leva strategica per l’automazione dei processi decisionali in ambito lavorativo, in particolare per l’analisi dei dati, la valutazione dei curriculum vitae e la formulazione di suggerimenti formativi. L’IA viene descritta come uno strumento già ampiamente diffuso, in grado di supportare l’efficienza operativa e rafforzare l’allineamento tra gestione delle risorse umane, benessere organizzativo e innovazione. Tuttavia, lo stesso articolo rivela – seppur in modo implicito – una visione tecnocratica della trasformazione digitale, che tende a presupporre un’intrinseca neutralità dell’algoritmo e assegna alla dirigenza HR il compito esclusivo di governarne le applicazioni, con un focus quasi esclusivo sugli esiti aziendali e produttivi.
Ci permettiamo di suggerire invece un’angolazione, dell'esplorazione sul tema, maggiormente orientata ai profili giuridici e sistemici, mettendo in evidenza come l’introduzione dell’IA nei processi di selezione comporti anche un’ineludibile ridefinizione dei rapporti tra tecnologia, diritto e democrazia inclusiva. Laddove l’articolo del Sole 24 Ore delinea gli stakeholder come attori interni all’impresa – in primis i responsabili HR, i dirigenti e i fornitori di soluzioni digitali – la nostra riflessione insiste sull’esigenza di ampliare il perimetro della partecipazione, prevedendo meccanismi di consultazione stabile tra le organizzazioni associative del lavoro e le realtà rappresentative delle categorie più esposte al rischio di esclusione, come le persone con disabilità, i lavoratori migranti o chi presenta percorsi atipici e discontinui.
La differenza di impostazione è significativa: mentre dal contributo giornalistico si evince come il coinvolgimento degli stakeholder appaia funzionale alla personalizzazione delle politiche di benessere e alla fidelizzazione del personale, nell'approccio che suggeriamo, il dialogo tra soggetti eterogenei è inteso come presidio etico e istituzionale per la prevenzione dei bias algoritmici e per la legittimazione democratica dei criteri di selezione. Non si tratta, dunque, di integrare ex post una funzione sociale a un processo già automatizzato, ma di costruire sin dall’origine un sistema trasparente, contestabile e inclusivo, nel quale i criteri di valutazione siano co-determinati anche da chi quotidianamente rischia di essere escluso.
L’AI Act europeo, che ha correttamente classificato i sistemi di IA per la selezione del personale come tecnologie ad “alto rischio”, impone una serie di obblighi formali – come audit, tracciabilità, supervisione umana – che, pur rappresentando un avanzamento significativo, non sono da soli sufficienti a prevenire discriminazioni indirette derivanti da dati incompleti, distorti o selettivamente rappresentati. Un esempio emblematico riguarda le disabilità non dichiarate nei CV, le carriere discontinue dovute a responsabilità di cura o malattie anche rare, invalidanti e progressive, oppure l’uso di linguaggi e format non conformi agli standard professionali dominanti, che l’IA può interpretare come segnali di inadeguatezza.
Per questi motivi, riteniamo che sia necessario promuovere tavoli permanenti di confronto tra professionisti HR, esperti giuridici, enti regolatori e associazioni rappresentative dei gruppi vulnerabili, capaci di elaborare linee guida settoriali e standard comuni in materia di equità algoritmica.
Un confronto aperto e strutturato tra esigenze operative delle imprese e diritti delle persone renderà possibile evitare che l’IA, invece di costituire un’opportunità di democratizzazione dell’accesso al lavoro, diventi un ulteriore strumento di selezione escludete, con conseguenze sociali che oggi non siamo in grado di immaginare se non in minima parte.
Nel modello auspicato, gli stakeholder non sono meri destinatari o regolatori esterni del processo, ma co-protagonisti nella definizione delle metriche, nella valutazione d’impatto e nella gestione delle segnalazioni. A differenza dell’approccio verticale evidenziato nell’articolo, che si affida alla governance tecnica delle imprese e alle dinamiche di mercato, proponiamo una governance dialogica e partecipativa, nella quale il pluralismo sociale venga riconosciuto come risorsa interpretativa e non come ostacolo alla semplificazione algoritmica.
L’intelligenza artificiale applicata alla selezione del personale rappresenta un banco di prova decisivo per la tenuta dei principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione, tanto più nei confronti delle persone con disabilità. In tal senso, la trasformazione digitale non può essere pensata come un’evoluzione neutra dei processi, ma come uno spazio normativo e politico in cui ridefinire, in chiave inclusiva, il significato stesso di “merito”, “potenziale” e “valore professionale”. La sfida che ci attende non è soltanto tecnica, ma, sopratutto, culturale e istituzionale: si tratta di scegliere se delegare agli algoritmi il compito di selezionare i talenti, oppure se costruire collettivamente i criteri con cui la società del lavoro del futuro sarà chiamata a riconoscerli.
Francesco Alberto Comellini
Componente del Comitato Tecnico Scientifico dell'Osservatorio Permanente sulla Disabilità - OSPERDI ETS
Disabilità e d'intorni
FAC ovvero Francesco Alberto Comellini su disabilità e d'intorni
Il DEF 2025 introduce misure rilevanti per la disabilità, tra cui fondi per università e AFAM, ma manca ancora una strategia strutturata e sistemi di monitoraggio efficaci. Persistono criticità in ambito lavorativo e sul ruolo dei caregiver familiari. Proposta l’introduzione di un indice oggettivo (IPSA) per valutare l’efficacia delle politiche. La programmazione resta frammentata e priva di indicatori condivisi.
Quadro programmatico e risorse per la disabilità nel DEF 2025: sintesi analitica e confronto tendenziale
Il Documento di Economia e Finanza 2025 introduce un insieme di misure che, pur mantenendo una struttura prevalentemente aggregata nella rappresentazione delle politiche sociali, segnano alcuni avanzamenti rilevanti in materia di disabilità, non autosufficienza e diritto allo studio. Si conferma il rifinanziamento del Fondo per le non autosufficienze e, in generale, una stabilità del peso delle prestazioni sociali sul PIL. Tuttavia, nonostante alcuni passi in avanti, permane l’assenza di una strategia nazionale strutturata e monitorabile per l’inclusione delle persone con disabilità, sia nell’ambito delle politiche assistenziali che in quello dell’autonomia individuale e lavorativa.
Particolare attenzione per quel che ci occupa, viene dedicata, in via programmatica, al rafforzamento del diritto allo studio nella formazione superiore. Tra le misure previste, si segnala l’assegnazione di 13 milioni di euro annui per le università e 3 milioni per le istituzioni AFAM, destinati a interventi mirati per studenti con disabilità o disturbi specifici dell’apprendimento, somme peraltro da riconsiderare alla luce dei dati delle rilevazioni ANVUR che potranno rese note entro il terzo trimestre 2025. Questo rappresenta un segnale di discontinuità rispetto al DEF 2024, che non contemplava stanziamenti specifici a tale scopo. Tuttavia, l’assenza di criteri pubblici di assegnazione e di sistemi di monitoraggio dell’impatto rende difficile una valutazione di efficacia. In ambito scolastico, ad esempio, è confermato l’aumento dell’organico degli insegnanti di sostegno a partire dall’anno scolastico 2025/2026, ma la misura non è integrata da un piano complessivo sul diritto allo studio degli alunni con disabilità né da strumenti valutativi.
Sul piano lavorativo, le misure riportate nel DEF 2025 restano generiche. Non sono individuabili strumenti specifici per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, nonostante i dati contenuti nella Relazione al Parlamento sulla Legge 68/1999 (anni 2020-2021) evidenzino tassi di scopertura particolarmente elevati. In dettaglio, nel settore privato risultavano vacanti oltre 151.000 posizioni riservate, pari a circa il 32% delle quote previste, mentre nel settore pubblico la scopertura si attestava attorno a 11.000 posti, pari al 17% del totale. L’assenza di stanziamenti dedicati e di interventi mirati a ridurre la frammentazione tra politiche attive, collocamento mirato e sistema di incentivi evidenzia una criticità sistemica che permane anche nel DEF 2025.
Per quanto riguarda i caregiver familiari, non si registra nel DEF 2025 l’attuazione della disciplina introdotta con la Legge di Bilancio 2017, né l’istituzione (o re-istituzione) di un fondo strutturale dedicato. Sebbene siano in discussione in Parlamento numerose proposte di legge in materia, la programmazione economico-finanziaria nazionale continua a ignorare tale figura, la cui rilevanza sociale è invece sempre più riconosciuta anche in sede europea.
Nel confronto con i documenti di economia e finanza del 2024, si evidenzia un progresso sul piano della visibilità finanziaria degli interventi per disabilità nel settore dell’istruzione superiore, ma persistono significative carenze in termini di integrazione delle politiche, misurabilità degli impatti e governance multilivello. La prospettiva di una programmazione inclusiva resta dunque affidata alla discrezionalità attuativa, senza vincoli strutturali o indicatori comuni.
L’adozione di strumenti oggettivi di valutazione, come un ipotetico indice di pressione sociale aggregata (IPSA) di nuova istituzione, proposto anche in via sperimentale, potrebbe rappresentare una soluzione utile per misurare in modo comparabile nel tempo e tra territori l’efficacia degli investimenti in politiche per la disabilità. L’IPSA potrebbe essere costruito come indicatore composito (anche modulare), articolato su tre assi principali: incidenza della spesa pubblica specificamente destinata alla disabilità in rapporto al PIL e alla popolazione target; tasso di accesso e permanenza nei servizi educativi, lavorativi e assistenziali da parte delle persone con disabilità; livello di copertura degli obblighi previsti dalla normativa vigente (ad esempio, Legge 68/1999, normativa sul sostegno scolastico e universitario, misure per la vita indipendente, ecc.).
In assenza di tali strumenti, anche i miglioramenti quantitativi introdotti nel DEF 2025, ove realizzati, rischiano di non tradursi in effettivi e percepiti avanzamenti nella tutela dei diritti e nella partecipazione delle persone con disabilità alla vita educativa, lavorativa e sociale del Paese.
Francesco Alberto Comellini -Comitato Tecnico Scientifico-Osservatorio Permanente sulla Disabilità -info @ osperdi.it
INTELLIGENZA ARTIFICIALE : RISCHI E OPPORTUNITA'
INTELLIGENZA ARTIFICIALE : RISCHI MA SOPRATUTTO OPPORTUNITA' SE........Tutteperitalia
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L’Intelligenza artificiale sta ridisegnando gli equilibri globali nei settori tecnologico, economico e politico. Mentre Stati Uniti e Cina avanzano, l’Europa è ferma a un bivio: restare un semplice consumatore di tecnologie sviluppate altrove o riconquistare un ruolo di leadership nell’innovazione strategica. Ora poi con la situazione di dominio globale di forze internazionali la situazione è sempre più delicata. l’Ia non si limita più a modellare il futuro, ne sta diventando il principale artefice. Se l’Europa vuole sopravvivere in questo scenario, deve prendere decisioni urgenti in materia di ricerca, infrastrutture e governance. Per anni, i giganti tecnologici americani si sono sfidati in una competizione aspra ma regolata da un equilibrio interno. I team tecnici che hanno contribuito a reinventare l’Ia sono sempre stati strenui difensori di ricerca e sviluppo in modalità open-source, moderati solo dalle norme aziendali. Tuttavia, questi equilibri e le dinamiche di mercato sono radicalmente cambiati nel 2022, quando OpenAI ha scelto un modello chiuso e proprietario, rigidamente controllato. Questa svolta ha innescato una reazione a catena nel settore. Alcune aziende, tra cui Meta hanno scelto un approccio opposto, rilasciando open-source il loro modello di linguaggio LLaMA, rendendolo accessibile all’intero ecosistema tecnologico e finanziario internazionale. Una decisione che, se da un lato rifletteva l’orientamento accademico dei team di ricerca, dall’altro era un’operazione strategica ben ponderata: piuttosto che tentare di competere direttamente contro di loro, Meta ha deciso di ridefinire la distribuzione del potere tecnologico.In questo scenario di collaborazione aperta, DeepSeek è inizialmente apparso come un colpo di scena tecnologico – una start-up agile e veloce, capace di scardinare la gerarchia globale dell’Ia. Vero è però che l’azienda ha potuto contare su oltre un miliardo e mezzo di dollari in hardware e spende quasi un miliardo di dollari all’anno in capacità computazionali. Sebbene più piccolo rispetto ai colossi occidentali, DeepSeek ha costruito il proprio successo poggiandosi proprio sul loro open-source e introducendo miglioramenti brillanti e molto ben finanziati. Sono il suo crescente peso globale e la sua influenza nel mercato asiatico a segnalare uno spostamento geopolitico di primo ordine. La supremazia dell’Occidente nell’Ia non è più scontata e l’Europa, che negli ultimi vent’anni ha lasciato crescere il suo ritardo tecnologico, è l’area più esposta a questa transizione. Ora come evitare il declino e diventare un attore determinante nel futuro dell’Ia ?Esiste ancora una finestra di opportunità, che passa attraverso la creazione di un Centro europeo di ricerca sull’Intelligenza artificiale, sul modello del Cern. Significa trasformare l’Ia in una disciplina scientifica rigorosa, così come la termodinamica – sviluppata trent’anni dopo la macchina a vapore – ha fornito le basi teoriche per l’intera rivoluzione industriale. Un istituto del genere consentirebbe all’Europa di sviluppare un approccio indipendente all’Ia, consolidando la ricerca, arginando la fuga di cervelli e promuovendo soluzioni sostenibili per il suo impatto energetico. E tutto questo a un costo ridotto: le stime indicano che un centro europeo sull’Ia richiederebbe appena un ventesimo del budget del Cern, sfruttando l’infrastruttura computazionale esistente e connettendosi alla rete ad alta velocità Geant. L’idea di un Cern per l’Ia non è nuova: è stata inserita nel Piano nazionale della ricerca italiano del 2019, ripresa nel rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea, discussa alFrench AI Summit e persino menzionata dai vertici della Commissione europea. Tuttavia, la politica europea sull’Ia resta ambigua. L’iniziativa InvestAI della Commissione sembra puntare più sulla creazione di grandi infrastrutture computazionali che sulla ricerca fondamentale. Questo modello – che ricalca il modello americano – rischia di accentuare la dipendenza europea dalla tecnologia straniera, piuttosto che dare all’Europa una propria agenda strategica nell’Ia. L’Europa, dunque, non dovrebbe limitarsi a replicare il modello della Silicon Valley, ma sfruttare i propri punti di forza per comprendere, perfezionare e governare questa rivoluzione. Dare priorità alla ricerca e al capitale umano rispetto agli investimenti in infrastrutture computazionali aiuterebbe non solo l’Europa, ma l’intero ecosistema globale dell’Ia, rendendolo più equilibrato e sostenibile.
Un ecosistema globale dell’Ia, equilibrato e sostenibile, potrebbe anche fungere da pre-requisito per l’accettazione più ampia di ciò
che l’Europa è in grado di offrire per assicurare un uso della stessa Ia che sia al contempo efficace e sicuro: il meglio (e non il peggio) delle sue qualità regolatorie. L’Europa viene spesso criticata per la sua propensione a eccedere nella regolazione delle attività umane. È una propensione innegabile ed è giusto chiederne correzioni e limitazioni, specie nell’area delle alte tecnologie. Si è notato – lo ha scritto da ultimo Mario Draghi – che l’ottemperanza al Gdpr (il regolamento sulla protezione dei dati personali) è costata alle piccole imprese tecnologiche europee sino al 12% dei loro profitti. È un dato che segnala l’irrinunciabile necessità di semplificazioni. Tuttavia, eliminare ogni regola, proclamare la libertà assoluta e definire quindi la democrazia incompatibile con la libertà non sono gli antidoti adeguati contro l’eccesso di regolazione. Tanto meno lo sono laddove è di scena l’Ia, la quale può produrre effetti che sono da evitare per nulla di meno della salvaguardia stessa dell’umanità. Sappiamo bene che l’Ia non è il frutto di una volontà distruttiva, né dell’intento di esercitare dominio sugli altri. Sappiamo che essa è, al contrario, un frutto della ricerca scientifica più genuina, i cui effetti a beneficio di tutti possono essere semplicemente enormi. Tuttavia, sappiamo altrettanto bene dei disastri umani che scaturiscono non da disegni umani, ma dall’interconnessione di azioni umane. Ebbene, sono i disastri di questo genere quelli che possono scaturire da un uso non regolato dell’Ia. I sistemi di Ia generalista producono immagini, video, voci e testi che di per sé non sono riconoscibili come artificiali. Che cosa succede se tutti questi prodotti sono presentati e usati come se fossero veri e se arrivano a formarsi segmenti di opinione pubblica fondati su questa falsa impressione? Ci sono sistemi che si avvalgono di tecniche subliminali, che vanno al di là della nostra consapevolezza. Che cosa succede se vengono utilizzate con lo scopo di orientare i nostri comportamenti? Per non parlare degli algoritmi che raccolgono dati, li usano per classificare le persone, o gruppi di persone, con l’effetto che queste saranno assoggettate a trattamenti deteriori su questa sola base.
Ebbene, come dobbiamo considerare queste ipotesi, tutt’altro che ipotetiche? Implicazioni naturali di libertà d’impresa da garantire in ogni società libera? O, al contrario, manifestazioni di un potere abusivo, che una società libera non può permettere? Una società è libera quando i suoi cittadini interagiscono fra di loro esercitando ciascuno la propria libertà. Mentre il tasso di libertà è, a dir poco, ridotto quando qualcuno di loro esercita non libertà, ma potere nei confronti di altri. Il che accade tutte le volte che un privato cittadino adotta decisioni che producono effetti nella sfera di altri, senza il loro consenso e addirittura a loro insaputa. È questo che non è compatibile con una società libera ed è anche per limitare e possibilmente prevenire un tale potere che il potere pubblico esiste ed è legittimato dai cittadini.
In conclusione: un’Europa indipendente e competitiva nelle tecnologie dell’Ia può essere tanto un pilastro (e non già un beneficiario dipendente da altri) di un sistema di Ia stabile e cooperativo, quanto la fonte delle equilibrate risposte regolatorie che la comunità globale dovrà comunque dare al dilemma cruciale che ha davanti, quello fra libertà e potere. “Fewer rules, better people” potrebbe esserne il principio ispiratore. Oggi è una formula molto popolare come titolo di libri, di articoli e di lezioni. Può essere una piattaforma condivisa per il futuro, sempre che tutti siamo disposti a condividerne anche i limiti.
Abilitazione scientifica nazionale e disabilità
Abilitazione Scientifica Nazionale e disabilità: inquadramento giuridico e proposta normativa di adeguamento sistemico.
FAC di Francesco Alberto Comellini*
Il sistema di reclutamento universitario italiano, disciplinato dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, e imperniato sulla procedura di Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), si fonda su criteri standardizzati di valutazione della produzione scientifica, applicati in maniera uniforme, indipendentemente dalle condizioni soggettive dei candidati. Tale assetto non contempla, allo stato attuale, misure volte a compensare gli effetti di discontinuità accademiche determinate da situazioni di disabilità o di impegno in attività di cura familiare prolungata e gravosa.
Questa rigidità valutativa determina, nei fatti, un effetto discriminatorio indiretto, in contrasto con i principi di uguaglianza sostanziale, di non discriminazione e di inclusione, sanciti dagli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione. Tali principi sono rafforzati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che con la sentenza n. 275 del 2016 ha riaffermato la preminenza dei diritti incomprimibili delle persone con disabilità, anche in presenza di vincoli organizzativi e finanziari. Sul piano sovranazionale, il diritto all’accomodamento ragionevole trova esplicito riconoscimento nell’art. 2 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18) e nell’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE, entrambe fonti vincolanti ai sensi dell’art. 117, comma 1, della Costituzione.
L’istituto dell’accomodamento ragionevole, elaborato originariamente in ambito internazionale, è stato progressivamente recepito nel diritto italiano, dapprima in forma indiretta nel contesto lavoristico e antidiscriminatorio (D.lgs. 216/2003, attuativo della Direttiva 2000/78/CE, e L. 67/2006), poi attraverso la giurisprudenza costituzionale e amministrativa, e infine mediante una compiuta codificazione normativa ad opera dell’art. 17 del D.lgs. 3 maggio 2024, n. 62. Quest’ultimo ha introdotto il nuovo art. 5-bis nella legge 5 febbraio 1992, n. 104, stabilendo che l’accomodamento ragionevole è costituito dall’“insieme delle misure e degli adattamenti, anche organizzativi, che possono essere richiesti alle amministrazioni pubbliche, ai concessionari di pubblico servizio e ai soggetti privati, anche in qualità di datori di lavoro, per garantire i diritti della persona con disabilità, qualora il rispetto della disciplina generale non risulti sufficiente a tal fine”. Si tratta, dunque, di un principio generale, pienamente operante anche in ambito accademico e selettivo, laddove l’uniformità procedurale rischi di compromettere l’equità sostanziale.
In questo contesto si colloca la proposta di modifica dell’articolo 16 della legge n. 240/2010, mediante l’introduzione di un nuovo comma 9-bis, che riconosca esplicitamente il diritto a misure di accomodamento ragionevole nell’ambito della procedura ASN per le persone con disabilità e per i caregiver familiari. Le misure proposte, calibrate in modo proporzionato e non lesive del merito, introducono esplicitamente forme compensative per i soggetti in condizione di disabilità o di cura gravosa. In particolare, ai candidati con disabilità documentata (ai sensi dell’art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104) o con patologie invalidanti, nonché ai soggetti che abbiano svolto attività di caregiver familiare, o che tale attività sia ancora in essere alla data di indizione della procedura selettiva, per un periodo continuativo o frazionato pari almeno alla metà dell’intervallo massimo di osservazione previsto dal regolamento ministeriale per la valutazione scientifica, è riconosciuto il diritto di richiedere, a titolo di accomodamento ragionevole, l’incremento fino a un terzo dei limiti temporali massimi ordinariamente previsti per la valutazione della produzione scientifica, ove ciò risulti necessario per compensare le oggettive discontinuità derivanti dalla condizione di disabilità o dall’attività documentata di cura. Tali soggetti possono inoltre accedere, in via compensativa, a una valutazione qualitativa dei prodotti scientifici, anche in presenza di valori-soglia inferiori ai parametri quantitativi standardizzati.
Tali misure si pongono anche in coerenza con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa, che ha più volte ribadito l’esigenza di una valutazione analitica e motivata dei percorsi scientifici individuali (TAR Lazio, n. 8494/2019), e la possibilità per le commissioni di adottare criteri differenziati, anche più selettivi o adattati, nel rispetto delle cornici regolamentari (TAR Lazio, n. 3972/2016). In questa prospettiva, l’introduzione normativa di accomodamenti ragionevoli per candidati che abbiano affrontato o siano in condizioni di disabilità o di cura gravosa non rappresenta una deroga ma una attuazione del principio di equità sostanziale, che trova ulteriore legittimazione nel dovere di assicurare un giudizio individualizzato e imparziale. Inoltre, la previsione di figure tecniche a supporto delle commissioni nei casi di disabilità documentata è coerente con la necessità, più volte affermata in sede giurisdizionale, di garantire che i membri delle commissioni dispongano di competenze pertinenti e funzionali alla corretta comprensione del percorso scientifico del candidato.
La proposta si inserisce, inoltre, nel solco tracciato dall’art. 35-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che disciplina le modalità di accesso al pubblico impiego da parte delle persone con disabilità, imponendo la valutazione delle abilità residue nelle procedure concorsuali, al fine di assicurare condizioni di parità tra i candidati. Analogamente, l’estensione controllata dei limiti temporali e l’introduzione di criteri valutativi personalizzati nelle procedure ASN mirano a garantire pari opportunità effettive, in coerenza con il principio di uguaglianza sostanziale. Si tratta di un allineamento sistemico volto ad assicurare che le procedure selettive pubbliche, anche nel settore universitario, non siano strutturalmente ostative alla partecipazione di soggetti in condizione di svantaggio, come affermato anche nella più recente giurisprudenza amministrativa.
Tali misure trovano legittimazione anche nel sistema vigente di valutazione ASN, che prevede differenti orizzonti temporali per gli indicatori bibliometrici e non bibliometrici (da 5 a 15 anni), in base alla fascia accademica e al tipo di parametro. L’intervento legislativo proposto, quindi, non altera il modello valutativo, ma lo integra con una clausola compensativa a tutela di condizioni oggettive di svantaggio, in linea con il principio di eguaglianza sostanziale.
In aggiunta, la proposta prevede il supporto di un referente per l’accessibilità e la non discriminazione, quale figura tecnica di garanzia incaricata di agevolare l’applicazione degli accomodamenti ragionevoli, assicurare il rispetto dei diritti procedurali dei candidati e vigilare sulla conformità delle procedure ai principi di parità. Tale figura non incide sui profili scientifici della valutazione, ma svolge una funzione di raccordo e assistenza. La sua individuazione è demandata a criteri definiti con decreto ministeriale, previa consultazione dell’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità e delle Associazioni di categoria per la tutela delle persone con disabilità e dei loro caregiver familiari, comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Esse si inseriscono in una riflessione più ampia, emersa anche nel corso delle audizioni parlamentari, svolte nelle precedenti legislatura, in sede di discussione sulla riforma del reclutamento universitario, secondo cui le scelte fondamentali relative all’accesso alla docenza universitaria dovrebbero essere definite dalla legge, in coerenza con l’art. 33, comma 6, della Costituzione, e non rimesse alla completa autonomia regolamentare degli atenei o a discipline secondarie di fonte amministrativa. Questo orientamento si fonda sull’esigenza di assicurare uniformità, trasparenza e imparzialità delle procedure, evitando disparità di trattamento e garantendo il rispetto dei diritti soggettivi coinvolti. Alla luce di tale principio, l’introduzione legislativa di misure di accomodamento ragionevole nel sistema ASN – attualmente regolato da atti ministeriali di natura tecnico-regolamentare – risulta coerente con l’impianto costituzionale e rafforza la legalità sostanziale del sistema, vincolando anche le successive fasi applicative e valutative.
Un ulteriore elemento di rafforzamento della proposta normativa consiste nell’integrazione delle commissioni giudicatrici ASN con professionalità esperte in materia di disabilità, inclusione e fragilità sociali, laddove siano presenti situazioni documentate che ne giustifichino il coinvolgimento. Tale integrazione, di natura tecnica e consultiva, rappresenta una garanzia di imparzialità e adeguatezza valutativa, in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e con le best practices internazionali.
L’introduzione di misure strutturate di accomodamento ragionevole nelle procedure di abilitazione scientifica nazionale si configura dunque come un adeguamento necessario dell’ordinamento a principi già immanenti nella Costituzione e nelle fonti sovranazionali vincolanti per lo Stato. Tali misure non sono eccezioni né deroghe tollerate, ma componenti essenziali di un sistema di valutazione equo, fondato sul riconoscimento della diversità delle condizioni individuali e sull’obbligo giuridico di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva parità nell’accesso alla funzione docente. La valorizzazione delle carriere accademiche non può prescindere da strumenti che, nel rispetto del merito, riconoscano il valore del percorso e delle circostanze, e garantiscano l’equilibrio tra uniformità procedurale e giustizia sostanziale. In tal senso, l’accomodamento ragionevole cessa di essere una misura eccezionale per diventare un presidio di legalità costituzionale e di qualità istituzionale del sistema universitario.
* Componente del Comitato Tecnico Scientifico dell'Osservatorio Permanente sulla Disabilità