Molestie sul lavoro Audizione Senato Commissione femminicidio
Alessandra Servidori Audizione Commissione Femminicidio Senato 20 Gennaio 2021
Ringrazio la Presidente dell’invito salutando con alto gradimento la positiva e definitiva ratifica da parte del Senato, in merito alla Convenzione e Raccomandazione Ilo, in tema di violenza e molestie nei luoghi di lavoro. La tolleranza zero, invocata dalla Convenzione Oil, nei confronti della violenza e delle molestie nei luoghi di lavoro da oggi richiede una responsabilità condivisa del Parlamento impegnato nel varare le disposizioni normative attuative, delle parti sociali e delle istituzioni, sui vari livelli, che non dovranno far mancare il loro contributo fondamentale. Nel nostro ordinamento non mancano le tutele adeguate per garantire un` efficace azione di contrasto alle violenze e molestie in occasione di lavoro, ma comunque vanno rafforzate nel Codice delle Pari Opportunità la ratifica da parte dell`Italia dei documenti internazionali, non solo ne rafforza il rilievo a livello mondiale, ma ne consolida le misure, superando qualsiasi limite alle più ampie garanzie di tutela per tutti gli occupati. La positiva e responsabile decisione del Parlamento italiano conferma come la cultura del lavoro debba basarsi sul rispetto reciproco e sulla dignità dell`essere umano e che gli atti di violenza e le molestie sul lavoro sono da perseguire penalmente prevedendo strumenti di tutela, di denuncia, di prevenzione proteggendo tutti e tutte i lavoratori e lavoratrici a prescindere dal loro status contrattuale. In questo ultimo periodo a livello internazionale c’è un rinnovato impegno sul tema : il 2 Dicembre 2020 carta dei diritti EU :uno degli obiettivi della Commissione Oggi la Commissione europea presenta una nuova strategia per rafforzare l'applicazione della Carta dei diritti fondamentali nell'UE.I diritti fondamentali non possono essere dati per scontati. La nuova strategia conferma un rinnovato impegno a garantire che la Carta sia pienamente applicata. A partire dal prossimo anno, la Commissione presenterà una relazione annuale che esaminerà le modalità con cui la Carta è applicata negli Stati membri in un determinato ambito tematico.Per noi rimane clamorosamente inattuato l’art 37 della Cost.Nel 2020 la presenza di un gender pay gap medio in Italia dell’11%, ed anche peggiore in altri Paesi europei,una disoccupazione euna sottooccupazione ,e mentre con l’avvento del diritto antidiscriminatorio di matrice europea e l’affermarsi di politiche di conciliazione sempre più neutrali, volte cioè a favorire un equilibrio nei ruoli familiari tra uomini e donne, si è progressivamente affermata la necessità economica di una posizione paritaria nel lavoro delle donne rispetto agli uomini, non si può dire altrettanto sull’affermazione di una necessità culturale e politica. Ed infatti resta significativo il fenomeno della segregazione orizzontale delle donne, in ruoli, posizioni e settori lavorativi considerati più affini alla tradizionale riconduzione del genere femminile allo spazio privato, della cura, e la corrispondente esclusione da ambiti, quali quelli cosiddetti STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), che sembrano rappresentare i luoghi della razionalità per eccellenza.Vero è che pochi spazi sembrano residuare per il diritto antidiscriminatorio nell’intervento sulla piaga del lavoro precario: un lavoro prevalentemente femminile su cui l’emergenza sanitaria e sociale determinata dalla pandemia ha agito comportando in moltissimi casi la riduzione delle ore di lavoro o l’abbandono temporaneo del lavoro finalizzati a rendere la donna disponibile per le attività di cura, ragione per cui, come sottolinea l’ILO in un report di quest’anno (COVID-19: Protecting workers in the workplace, 2020), l’impatto economico della pandemia si riverserà in particolare proprio sulle donne. Avete già perso in considerazione il Rapporto Istat del 2016 sulla materia e la situazione non è sicuramente migliorata . Erano oltre 1 milione e 400 mila le donne che hanno subito nel corso della loro vita molestie o ricatti sessuali sul luogo di lavoro. Si tratta di un tema delicato e di difficile emersione. Infatti sono meno dell'1% le donne che denunciano tali forme di violenza, pur avendole subite, soprattutto per il rischio che una denuncia possa ripercuotersi negativamente sulla sfera lavorativa.Lo vediamo e leggiamo ricorrentemente sul Rapporto annuale sulle dimissioni volontarie che evidentemente a fronte di una caduta libera delle dimissioni NON viene mai riferito il motivo di molestia . Pertanto un obiettivo da valutare è quello già suggerito dalla Commissione nel Rapporto conclusivo dei lavori in cui si auspica l’introduzione di una fattispecie ad hoc di natura delittuosa e a struttura dolosa come peraltro l’Oil identifica nella struttura della Convenzione ratificata da noi .Problemi evidenti sono a livello di immagine femminile e il lavoro e il ruolo della donna . Recuperare con la ristesura del Codice di parità il Codice che esiste adesso di autoregolamentazione capire ancora una volta quanto sia importante per noi il diritto dell’ Unione Europea, che ha sul tema della parità e delle politiche antidiscriminatoria un ruolo centrale e non solo di indirizzo.
In Italia, al contrario di altri Paesi europei che hanno regolamentato puntualmente il fenomeno, tutto rimane a livello di autoregolamentazione. Grazie allo Iap, Istituto di autodisciplina pubblicitaria, abbiamo un Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale che è stato adottato dagli enti e dai soggetti che riconoscono il Codice. All’interno del Codice è stato inserito il riferimento esplicito alla discriminazione di genere ed è stato ribadito che il corpo delle donne non può essere utilizzato a fini pubblicitari in modo sessista, volgare e offensivo della loro dignità.Io credo che, a fronte di tante iniziative locali di buone pratiche in questo ambito, sia necessaria una normativa precisa e puntuale per supplire il vuoto legislativo.Ecco perché è’ innanzitutto utile fare il punto sulla normativa antidiscriminatoria a oggi esistente e del relativo apparato sanzionatorio, anticipando sin da ora che si tratta di strumenti poco praticati e oggetto di continui tentativi di sabotaggio (sempre nelle prassi giuridiche che vedono coinvolti gli operatori del diritto), ma che vanno, a nostro avviso, nuovamente agiti a livello di massa per imporne una nuova ed efficace cogenza (nel mondo del diritto la reiterazione dell’azione apre spesso varchi evolutivi) e comunque agire sull’informazione sui luoghi di lavoro. Donne, stress, discriminazioni hanno un denominatore comune, finalmente riconosciuto nell’articolo 28 del Testo Unico, in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Si tratta del riconoscimento delle differenze di genere in una nuova visione del lavoro, introdotta dal provvedimento, che supera la concezione tradizionale della tutela del lavoro femminile circoscritta alla gravidanza, e introduce un rinnovamento nella valutazione del rischio connesso alle differenze tra i sessi. L’innovazione legislativa recepisce e si allinea all’orientamento europeo e internazionale incentrato sulla promozione alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro e che colloca il tema della differenza di genere in un’ottica di prospettiva confermata nel Piano Strategico 2021/2027 dell’Unione Europea. Finalità generale: E’ importante riconoscere il processo della “violenza” e, se possibile, analizzarlo. La violenza nel mondo del lavoro è una questione che riguarda i diritti umani, così come la salute, l’istruzione, le problematiche legali e socio-economiche. Ma ci sono anche forti interessi di carattere imprenditoriale per l’eliminazione della violenza contro donne (e uomini). I costi che la violenza comporta per le imprese includono l’assenteismo, l’aumento del ricambio del personale, prestazioni lavorative e produttività inferiori, immagine pubblica negativa, spese per eventuali cause, multe o spese di liquidazione elevate, ed aumento dei premi assicurativi. Per le lavoratrici, può comportare stress elevato, perdita motivazionale, aumento di incidenti. Le potenziali conseguenze sulla salute, sul benessere proprio e delle persone assistite, possono essere evitate attraverso la promozione della gestione integrata di politiche di sicurezza e salute sul lavoro, che tengano conto della prospettiva di genere, e di una cultura della prevenzione sul lavoro. Sono molte le cose sul piano del diritto del lavoro che, già qui e ora, si possono fare per contrastare le molestie e le discriminazioni nel contesto lavorativo. Procedendo con ordine, è innanzitutto utile fare il punto sulla normativa antidiscriminatoria a oggi esistente e del relativo apparato sanzionatorio, anticipando sin da ora che si tratta di strumenti poco praticati e oggetto di continui tentativi di sabotaggio (sempre nelle prassi giuridiche che vedono coinvolti gli operatori del diritto), ma che vanno, a nostro avviso, nuovamente agiti a livello di massa per imporne una nuova ed efficace cogenza (nel mondo del diritto la reiterazione dell’azione apre spesso varchi evolutivi).Nel 2006 con il Codice delle pari opportunità 198 il legislatore è finalmente partito dal corretto presupposto della necessità di garantire una eguaglianza sostanziale attraverso iniziative concrete, ossia le cosiddette azioni positive. il diritto (l’insieme di norme che già esistono) consente di esercitare alcune controffensive idonee a contribuire al contrasto della violenza di genere. Tali controffensive, con le lotte delle donne, delle lavoratrici, dei lavoratori, dovranno e potranno produrre ulteriori, efficaci e maggiormente cogenti strumenti volti a combattere le sperequazioni, le discriminazioni e gli abusi che si danno nel mondo del lavoro. Una maggiore conoscenza (ed esercizio) dei diritti si impone, allora, come un primo, essenziale, benché parziale, passo in questa direzione. Conoscere le sentenze in merito è fondamentale. LA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI DISCRIMINAZIONE DI GENERE.
La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 937/2017 pubblicata il 10.01.2018 ha ritenuto discriminatorio il comportamento aziendale (peraltro avallato da accordi sindacali) che non computava nel calcolo del premio di risultato (basato sulla presenza in servizio dei dipendenti) le assenze delle dipendenti donne a causa di maternità obbligatoria, congedo parentale e malattia dei figli. La sentenza è la prima che si pronunzia in tal senso soprattutto per quanto concerne le assenze per malattia dei figli, assenze astrattamente “neutre” in quanto virtualmente attribuibili sia alle madri che ai padri. La difesa ha però dimostrato che le madri fruivano di tali permessi in misura 8 volte superiore ai colleghi maschi (cfr. altresì Tribunale di Torino, sentenza del 26 ottobre 2016).La Corte d’Appello di Torino con la sentenza n. 667/2017 del 25.09.2017 ha ritenuto discriminata la ricorrente dirigente sotto vari profili:
sotto il profilo retributivo significativamente inferiore rispetto agli altri dirigenti e addirittura ad alcuni quadri e impiegati, tutti uomini; l’assunzione mediante contratto a termine, anziché immediatamente a tempo indeterminato, a differenza dei dirigenti uomini; la pattuizione, in sede di assunzione, di un premio ad personam inferiore a quello pattuito con i dirigenti uomini; eliminazione dell’incentivo senza preventiva contrattazione individuale, a differenza di quanto era accaduto per gli altri dirigenti, tutti uomini; anche il licenziamento è stato dichiarato discriminatorio in quanto l’esistenza di uno stato di crisi non ha spiegato in alcun modo per qual motivo, sia stata licenziata proprio l’unica dirigente donna.
Il Tribunale di Ferrara, con decreto (ex art. 38 D. Lgs. 198/2006) del 11.09.2017 ha dichiarato discriminatoria la modifica organizzativa del lavoro posta in essere dal datore, al rientro dalla maternità della dipendente, in quanto aveva comportato per la stessa una situazione di particolare svantaggio in un momento particolarmente delicato determinato appunto dalla ripresa lavorativa dopo un lungo periodo di assenza determinata da due gravidanze e dalla maternità; La unilaterale determinazione del datore di lavoro di modificare l’articolazione dell’orario della lavoratrice al suo rientro dalla maternità, richiedendole di lavorare su turni dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 9, dalle 15 alle 16 e dalle 17 alle 20, risulta, non solo obiettivamente idonea a pregiudicare l’adempimento dei doveri parentali della lavoratrice, così da indurla ragionevolmente a recedere lei stessa dal rapporto di lavoro (Tribunale di Pisa, sentenza del 17 luglio 2013). Il trasferimento della lavoratrice al rientro dalla maternità – a fronte di altre opzioni astrattamente praticabili per far fronte alle stesse esigenze produttive affermate dall’azienda – è da ritenersi discriminatorio in quanto sicuramente più gravoso per la lavoratrice (Corte d’Appello Torino 19.2.2013).
Non esistono tuttora puntuali fattispecie di reato con riguardo alle molestie sessuali, ove perpetrate in luoghi di lavoro, alla violenza assistita da minori o all’omicidio di identità ovvero alle lesioni personali gravissime con deformazione o sfregio permanente del volto, spesso consumate mediante utilizzo di sostanze corrosive;al femminicidio; alla violazione della misura dell’allontanamento disposto in via di urgenza (in relazione alla nuova fattispecie dovrebbe essere consentito l’arresto anche fuori dai casi di flagranza, parallelamente a quanto previsto per la fattispecie di evasione). La Legge estendeva la tutela antidiscriminatoria anche alle molestie di genere e alle molestie sessuali nei luoghi di lavoro, oggi riconosciute espressamente come una forma di discriminazione di genere.
Non viene, in questo caso, tutelata una parità violata, ma la libertà e dignità della persona offesa. Sono considerate discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Nonostante, la normativa preveda la tutela dei diritti delle donne al pari di quelle degli uomini, le discriminazioni continuano ad esistere, diritti negati anche se riconosciuti come fondamentali.
Nonostante la copiosa disciplina in materia nella società odierna, purtroppo, le discriminazioni esistono e si evidenziano maggiormente in determinati momenti. Oggi tutto il mondo è alle prese con la lotta al Covid-19, e la difficoltà e le preoccupazioni per tutte le comunità prendono il sopravvento rispetto ad altre problematiche. La pandemia e le misure di contenimento stanno colpendo tutti, senza eccezioni. Eppure, le donne dovranno maggiormente, rispetto agli uomini, subire una serie di conseguenze imposte dalle misure contenitive.Molti potrebbero pensare che quello della disparità tra uomo e donna non sia un problema presente in tutte le società. Rispetto a cinquant’anni fa le donne lavorano, in alcuni casi anche a tempo pieno; hanno la possibilità di scegliere da sole il proprio destino, di divorziare dal proprio compagno e di vestire come meglio credono. Si tratta senza dubbio di conquiste importanti, che tuttavia non annullano del tutto le differenze di genere ancora presenti anche in Occidente. Spesso quando si parla del problema femminile si parla soprattutto di violenza, ma non di minore importanza è la discriminazione. Nel nostro ordinamento, oltre alla discriminazione diretta, vi è quella indiretta, si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. Un aspetto è il tema della violenza subita dalle donne in condizione di disabilità. Le donne con disabilità vivono una doppia discriminazione: come donne e come persone disabili. La disabilità peraltro spesso rende ancora più difficile far emergere le forme di violenza subita. Queste donne, come rilevato sistematicamente vivono in una drammatica condizione di invisibilità. Noi dobbiamo valutare la concreta attuazione in Italia non solo della Convenzione sui diritti umani delle persone con disabilità, ma anche della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), ambedue ratificate dal nostro Paese e, dall'altro, verificare la congruità della legislazione nazionale con particolare riguardo proprio alle discriminazioni anche sulle donne caregiver che sono particolarmente lasciate spesso sole. Ciò che occorre è senz’altro una politica che stimoli l’informazione e la stampa a tenere sistematicamente conto della parità di genere, e occorre irrobustire l’attenzione sull’istruzione perché si svolga concretamente un percorso educativo fondato sulla parità, al fine di eliminare gli stereotipi e determinare così una vera e propria modifica culturale. I rigidi ruoli di genere possono infatti ostacolare le scelte individuali e limitare il potenziale delle future donne e dei futuri uomini. L’ineguaglianza rappresenta, infatti, un peso per un’economia che ambisce ad essere intelligente, sostenibile e solidale e che intende conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. Il potenziale e i talenti delle donne devono essere utilizzati più largamente e più efficacemente. Pertanto, si chiede una maggiore attenzione, anche nei casi di urgenza e di necessità, alla questione della parità di genere. Le misure previste dalla circolare 27 marzo 2020 del Ministro dell’Interno, finalizzata a sensibilizzare le articolazioni territoriali della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri alla problematica della violenza domestica e per favorire l’emersione delle richieste di aiuto delle donne vittime, attraverso tutti gli strumenti normativi, procedimentali e strumentali disponibili.Chiudo con un parere personale : questa Commissione ha lavorato e lavora bene e può provvedere a novellare il Codice di Pari Opportunità che ha senz’altro necessità di una ristesura integrativa che recepisca le norme alla luce delle novità intervenute sia a livello internazionale che nazionale dal 2006 ad oggi essendo trascorsi ben 15 anni dalla sua estensione. Non ritengo adeguata la proposta di una ulteriore Commissione proposta di legge che battezza la «Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani fondamentali e per il contrasto alle discriminazioni». Sono stati depositati ben tre testi, ora avviati all'approvazione con un testo base unificato. Ecco una proliferazione non serve, serve anzi serrare le fila e rimettere mano armonizzandole alle norme e farle rispettare.