Il Cartello
La premessa è che la conoscenza è potere e il potere va usato solo a fin di bene
Di fronte a una tendenza silenziosa al declino possiamo e dobbiamo promuovere non necessariamente un pensiero unico ma sicuramente dare qualche segnale di vitalità: io sono convinta che promuovere la centralità della persona per lo sviluppo della società, per la vitalità economica, anche nel principio della sussidiarietà sia una buona idea.
Due considerazioni di premessa:
- Abbiamo per decenni accumulato un debito pubblico e sappiamo che la finanza pubblica, compresoilnostro paese in cui i rubinetti spalati della spesa (sanità - pubblico impiego - previdenza - istruzione) si cerca di chiudere o comunque regolare: questo è l’anello debole dell’incompiuto sistema europeo in cui noi abbiamo subito umiliazioni pubbliche, commissariamento,scortesie personali mentre la bolla della new economy dal 2000 alla speculazione internazionale del 2008 ci colpivano.
- Siamo realiste: la società italiana si è rivelata fragile e etero diretta con una crisi che viene dall’esterno e un sistema economico bancario che non ha sostenuto il nostro talento degli anni del made in italy quando siamo stati i protagonisti dell’Europa ( ancora fino al 2009 aveva tenuto) e abbiamo avuto uffici europei che ci hanno dettato l’agenda: dobbiamo rinnovare la nostra autostima, rimettere in moto i nostri punti di forza.
Vero è ancora e ne siamo convinte che:
la collettività è capace di continuo adattamento e a i processi spontanei di autoregolazione nel campo dei consumi del welfare,della strategia di impresa,di una lettura della crisi unitaria e di decisioni unitarie e comprensione: perché essere prigionieri di termini incomprensibili dai più: default, rating, spread?
noi siamo convinte che noi siamo in grado di rimettere in moto il legame tra la radice della nostra tradizione con il legame dello sviluppo nostro: il noi insomma al posto dell’io perché i singoli ora si collocano nei processi individualmente senza assurgere a gruppo sociale: i singoli imprenditori, le singole comunità borghigiane, la società resa fragile dalla crisi è disorientata e si rinchiude in se stessa.
Recentemente il Governo ha ridotto a -2,4% la previsione di (de)crescita dell’economia italiana, confermando, così, tra le tante previsioni effettuate, quella recente del Centro studi della Confindustria, il quale ha stimato un dato negativo pari a - 0,3% nel 2013: un miglioramento, quindi, (più o meno in linea con le previsioni dell’Ocse) ma non ancora di segno positivo.
Lo specchio di una crisi che dura da anni, ha prodotto dei riflessi pesanti sull’occupazione (il tasso di disoccupazione è ormai oltreil10%) e le donne di ogni età pagano un prezzo imponente. In pochi mesi si sono persi 500mila posti di lavoro. Nei primi anni della crisi a pagare il prezzo più alto erano stati i titolari di rapporti temporanei (e quindi i giovani) mentre la manodopera stabilizzata era stata interessata solo marginalmente (grazie al massiccio intervento degli ammortizzatori sociali predisposto dal Governo Berlusconi). Più recentemente è toccato anche ai lavoratori stabili. E ciò che è più preoccupante, in generale, riguarda, sul complesso dei <senza lavoro>, la quota dei c.d. disoccupati di lunga durata, che da noi sono passati dal 45,7% del 2008 al 51,9% del 2011 (+6,2%) mentre in Germania sono diminuiti, nello stesso periodo, del 4,5% (da 52,5% a 48%).Di fronte a ciò è importante arricchire i rapporti sociali e dunque creare più articolazioni,più relazione.
Vi sono processi in corso interessanti, segno di una voglia di aggregazione:
sono esplosi i social network, vi è una diffusione di aggregazioni spirituali, si cercano forme amicali ,come crociere, sagre, movide; vi sono vivacissime aggregazioni di welfare come asili, mense, esperienze mutualistiche,partecipazioni di quartieri, altro/consumo, una rivitalizzazioni dell’associazionismo femminile: e vi è evidente una traccia lunga di corpi intermedi della società che hanno bisogno non solo di rappresentanza sociale ma anche di poter aver spazio per i loro progetti e ai loro problemi perché sovrastati da individualismi e dal potere. I temi del lavoro diventano così vitali ed essenziali per uomini e donne, giovani, adulti, anziani.
La crisi e la sfida dell’economia di mercato e sociale è in meno STATO PIU’ SOCIETA’: più efficienza pubblica,meno tasse,meno diritto pubblico,più diritto privato,meno leggi, più contratti, meno giustizia pubblica e più disponibilità alle soluzioni di conciliazione e stragiudiziali,cercando così una identità italiana ed europea vivendo l’integrazione come fonte di crescita, così come regole eque e di sostegno alla famiglia, all’impresa e allo sviluppo attraverso una equilibrata politica fiscale.
Lo stesso sistema di protezione sociale che tanto coinvolge la situazione femminile può risultare più efficace ed efficiente se privilegia le dimensioni comunitarie, meno onerose e più inclusive rispetto alla dimensione statuale in quanto fondate sulle relazioni fra le persone. Lo dimostrano già le buone pratiche sussidiarie in materia di integrazione socio-sanitaria , di lotta alla povertà, di pluralismo educativo, di nuovi lavori e forme nuove di incontro tra processi formativi,sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro,pubblico e privato e da un ruolo rinnovato delle parti sociali.
Anche l'impresa, che in Italia è spesso di origine familiare, può valorizzare ulteriormente il suo carattere comunitario attraverso accordi aziendali prevalenti sugli stessi contratti nazionali, con i quali imprenditori e lavoratori concordano gli obiettivi, distribuiscono in proporzione i risultati, adattano la regolazione dei rapporti di lavoro dall'assunzione al licenziamento, organizzano forme di protezione sociale rivolte alla tutela del valore reale del salario, ai servizi di cura dei minori, allo studio dei figli, alla salute dei nuclei familiari, alla previdenza complementare, al sostegno assicurativo della non autosufficienza. Il diritto di ciascuno alla occupabilità si realizza integrando scuola e lavoro, rivalutando anche il lavoro manuale, collegando università ed imprese.
Quali indicazioni si possono trarre per le politiche del lavoro e delle donne?
Occorre ammettere, innanzi tutto, che la scelta di porre la politica fiscale unicamente al servizio della stabilità monetaria e dei conti pubblici ha avuto conseguenze non solo sull’economia reale, ma anche sulle politiche del lavoro e famigliari, dal momento che si è impedito che fossero attuate iniziative di carattere promozionale dell’occupazione attraverso una riduzione del cuneo fiscale e contributivo che invece è aumentato e che per talune categorie (collaboratori e partite Iva) è destinato ad aumentare ancora (fino al livello del 33% per quanto riguarda l’aliquota pensionistica). Ma alla base dei nostri handicap produttivi ed occupazionali vi sono dei limiti strutturali purtroppo consolidati che vanno comunque riformati.
Il Governo Monti ha raggiunto con le parti sociali un buon accordo per una maggiore produttività attraverso il negoziato e gli avvisi comuni (è importante l’accordo di rinnovo del contratto dei chimici sottoscritto senza una sola ora di sciopero e con contenuti molto innovativi). Era uno dei punti (b) della lettera della Bce del 5 agosto 2011, dove veniva individuato, come vettore di una maggiore produttività, lo sviluppo, in una logica addirittura prioritaria, della c.d. contrattazione di prossimità (ovvero a livello aziendale e territoriale) rispetto a quella di carattere nazionale. Per tanti motivi che non riguardano soltanto l’organizzazione del lavoro e l’apporto dei lavoratori, l’Italia si trova in una posizione svantaggiata rispetto ai Paesi con cui è in competizione. Se consideriamo le variazioni % medie degli anni duemila possiamo notare un incremento di produttività del 5,2% negli Usa, del 3% nel Regno Unito, dell’1,8% in Germania, del 2,5% in Francia e solo dello 0,4% in Italia (un dato inferiore persino all’1,5% della Spagna). Diversamente, nello stesso periodo la variazioni % medie dei salari reali dell’industria hanno dato i seguenti riscontri: Usa +1,3%, Regno Unito +1,6%, Germania +0,5%, Francia +1,3%, Italia +0,9%. In sostanza, in Germania i salari reali sono cresciuti meno della produttività, da noi più del doppio.
Lo stesso discorso vale per il costo del lavoro che in Italia è aumentato un punto in più che in Germania (3,1% rispetto a 2,1%). Ma quello che è più significativo è il costo del lavoro per unità di prodotto (il Clup) nel settore manifatturiero (di cui è importante l’export in ragione della competitività), la cui variazione % media annua negli anni duemila è stata dello 0,2% in Germania, dello 0,6% in Francia e del 2,7% in Italia. Se poi si considera il Clup riferito all’intera economia otteniamo uno 0,4% della Germania contro un 2,6% del nostro Paese. Al dunque un differenziale di 2,2 punti che diventano 2,5 nel settore manifatturiero. In sostanza, si stima che l’Italia abbia perso trenta punti di produttività rispetto alla Germania (che all’inizio del decennio era il <grande malato d’Europa> e che ha saputo farcela attraverso le riforme del welfare e del mercato del lavoro ed un modello di relazioni industriali che non si è sottratto ai sacrifici necessari).
Davanti a noi stanno sfide complesse che dobbiamo affrontare : è in aumento l’offerta di lavoro nel senso che più persone cercano un’occupazione, spinte dalle crescenti difficoltà economiche delle famiglie; è in atto una riduzione del numero dei pensionati ed una permanenza più lunga degli anziani nel mercato del lavoro per effetto delle riforme delle pensioni; cresceranno ancora i lavoratori immigrati, anche se i trend risentono della situazione di crisi. Basti pensare alla variazione % tra il 2008 e il 2011 che ha visto diminuire del 4,4% i lavoratori italiani (in valore assoluto -941mila) e crescere del 28,7% quelli stranieri (+502mila). Da oggi al 2020 -la nuova data Ue - l’offerta di lavoro crescerà, da noi, di 2,4 milioni (in prevalenza donne, anziani, giovani e immigrati).
Vogliamo contribuire a rispondere adeguatamente a queste domande
Ci sarà un aumento adeguato della domanda di lavoro anche femminile ? Ci sarà la capacità di accrescere la qualità del lavoro per renderlo appetibile ad una forza di lavoro intellettuale che non trova più sbocchi nella pubblica amministrazione, negli istituti di credito e che ne troverà sempre meno nell’industria la quale dovrà affrontare processi importanti di ristrutturazione?
Ecco perché la sfida della produttività si tiene insieme con quella della competitività e della crescita.
Da subito occorre favorire la contrattazione decentrata con le misure di decontribuzione e di tassazione agevolata delle voci retributive rivolte ad incrementare la produttività, avvalendosi anche dell’articolo 8 della manovra estiva del 2011, voluto dal ministro Sacconi, che consente di conferire efficacia erga omnes agli accordi di prossimità anche in deroga alle norme di legge e di contratto nazionale. E’ l’unica maniera per orientare ed allocare le risorse laddove servono allo sviluppo, alla competitività e all’export, evitando invece di disperderle in erogazioni di carattere generale (come per esempio la detassazione della tredicesima mensilità). L’accordo tra governo e parti sociali sulla produttività ora è da sviluppare. E peraltro presso la struttura della Consigliera nazionale di parità è a disposizione di tutti il nostro Osservatorio sulla contrattazione che ha raccolto tutti gli accordi che possono configurarsi come flessibili e produttivi e quindi che favoriscono il bilanciamento/la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. NON SOLO PER LE DONNE. Dunque sono nuove prassi che posiamo e dobbiamo promuovere, sperimentare e monitorare per misurarne l’impatto sull’organizzazione del lavoro.
Le donne sono chiamate a fare la loro parte. Il Ministro Elsa Fornero ha individuato,tra gli altri e nella riforma del mercato del lavoro, in alcuni strumenti fondamentali un sostegno all’occupabilità femminile : accesso al credito, orario flessibile, apprendistato e dunque contratto prevalente, agevolazioni per le imprese che assumono donne (decontribuzione, defiscalizzazione) servizi per il lavoro di cura dei parenti e incentivi per il part time con formule anche nuove, welfare aziendale; ci sono le strade tracciate per sperimentazioni virtuose e andare poi a strutturare un sistema a sostegno dell’occupabilità femminile. Poche risorse ma da applicare insieme senza disperdere in rivoli le attività, monitorarle sull’impatto e agire in tempi credibili una vera e propria Mappa di interventi incardinati sulla programmazione regionale.
NOI dobbiamo ri-costruire insieme il futuro nostro e della nostra comunità di uomini e donne poiché una democrazia vitale può attuarsi soltanto nella misura in cui la giustizia sociale, piuttosto che come ideale separato e assoluto, sia concepita come premessa necessaria e come graduale arricchimento della libertà individuale. Il nostro progetto dunque può fondarsi sulla vitalità e sul protagonismo di una dimensione pubblica essenziale ed efficiente e della sua società che è anche femminile.
Allora sei idee forti e concrete e da subito
Febbraio 2013
Alessandra Servidori e le altre......