I numeri, si sa, fotografano la realtà meglio di qualsiasi altra lente. Così, basterebbe dire che dal 1977 a oggi, ovvero in 46 anni, il tasso di occupazione femminile è salito di appena 17punti percentuali (dal 33% a poco più del 50%) per far capire che no, la parità di genere non è stata raggiunta. E, dati alla mano, non ci siamo neanche vicini. È una vera e propria emergenza. Avremmo bisogno di un piano straordinario per l'occupazione femminile. Ma non c'è niente di tutto questo anzi si illudono le lavoratrici che basterà applicare la Certificazione di genere introdotta dalla Ministra Bonetti partita con il bene placido del businnes degli enti certificatori che offrono alle aziende un cd bollino carico di facilitazioni fiscali se assumono donne, ma che di qualità proprio non c’è certezza ,anzi in Italia è e rimane un nervo scoperto. E per essere concreti la difficoltà è plateale quando si vara una norma come il gender procurement (il riconoscimento di una premialità negli appalti delle imprese che sostengono politiche di genere) poi nei fatti se monitoriamo la situazione di ciò nulla è stato realizzato. Vero è che La Spagna, la Grecia, Malta fanno meglio di noi, e ancora meglio Francia, Inghilterra e Germania. Evidentemente, la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro non è una priorità per l'Italia perché sono previste e già avviate anche con le risorse del Pnrr azioni di sistema sulle infrastrutture, sulla transizione ecologica e sul digitale, ma alla questione di genere sono riservati interventi blandi e parziali e a volte solo evocativi e sporadici come i famosi progetti Stem a cui o prima o dopo il Ministro Valditara dovrà spiegarci come e dove si orientano le giovani a studi scientifici. I buoni propositi ci sono? Forse ma sono pieni di insidie .Come per esempio alcune misure che devono essere accompagnate da investimenti mirati che non si riescono ad identificare concretamente nei Bandi partiti del Pnnr per le politiche di welfare , come gli investimenti per i nidi i cui Bandi vanno deserti e noi così rimaniamo inchiodati al 12 % di bambini che frequentano i nidi pubblici; la realizzazione delle case della Salute solo disegnate sulla carta per accogliere gli anziani e strapparli alla decadenza delle RSA e assicurare così un’ assistenza domiciliare dignitosa che solleverebbe sicuramente a loro e alle donne italiane ingabbiate nel lavoro coatto di cura, che addirittura non si riconoscono neanche come caregivers. Abbiamo bisogno di rivoltare come un calzino il modo in cui sono disegnate le politiche sociali. Ricordo che il Pnrr deriva dal Next Generation Eu e faticosamente dalla Commissione europea la parità di genere è stata indirizzata, si declama, come tra le priorità. Ma perché il numero potenziale di donne che potrebbero essere occupate attraverso gli appalti nei settori centrali del Pnrr, ovvero green e digital, non rimangano pochissime, bisogna investire molto di più ,in cultura ora inadeguata e formazione . E anche quando le donne ci sono, a parità di voto di laurea e di ore di lavoro, vengono pagate meno con conseguenze gravi non solo per il presente, ma anche per il futuro. E gli stereotipi, inevitabilmente, si rafforzano quando le giovani donne si affacciano alla maternità che è ancora, troppo spesso, sinonimo di abbandono del lavoro (1 donna su 5) e di part – time involontario. Dunque ci vuole una netta rivoluzione del lavoro e del welfare consapevole e concreta . Le leggi da sole non generano cambiamento e per cambiare per avere un impatto reale servono investimenti strutturali e cultura .L’Italia è uno degli stati Ue più in ritardo nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Soprattutto dopo la nascita di un figlio, il tasso di occupazione femminile – già basso – cala. Così nella maggior parte dei paesi dell’Unione le donne con 3 figli lavorano più di quelle italiane con un unico bambino.
Oltre a rappresentare il primo tassello delle politiche di contrasto alla povertà educativa, l’estensione di asili nido e scuole per l’infanzia è un supporto anche alla partecipazione femminile al mercato del lavoro. Le attività di cura nel nucleo familiare, per stereotipi di genere, ricadono spesso sulle donne. Limitandone così le potenzialità e le possibilità di inclusione nella società attiva. Nelle 12 province con minore occupazione femminile tra 35 e 44 anni, l'offerta di servizi per l'infanzia rimane al di sotto dei 20 posti ogni 100 bambini. Diciamocelo non abbiamo nulla da festeggiare l’8 marzo e sicuramente non basta un giro di boa femminile alla Presidenza del Consiglio, a capo di un Partito, alla Presidenza della Corte Costituzionale e in Cassazione : noi siamo felici che il loro talento e la loro forza sia riconoscimento e potere, e sappiamo che per le italiane l’obiettivo è ancora lontano e faticoso , ma dobbiamo farcela almeno per le giovani , magari lasciando i simboli come la mimosa sugli alberi che crescono rigogliosi , noi continuando a percorrere la strada della parità tenacemente
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