La tragedia della Libia è anche un problema dell'Italia
Alessandra Servidori-La tragedia della Libia è anche un problema dell’Italia.
Lo scontro degli ultimi giorni nella capitale della Libia,Tripoli potrebbe estendersi e mettere a dura prova la tenuta del Governo di Accordo nazionale internazionalmente riconosciuto e guidato da Fayez al-Sarraj, un’evenienza che avrebbe un peso notevole tanto a livello interno quanto sul piano internazionale. Si è riaccesa una nuova ondata di violenza fra i diversi gruppi armati che si contendono il controllo del paese con un raggruppamento di milizie islamiste che già in passato ha provato a prendere la capitale e che ha sferrato un attacco contro milizie rivali, fedeli al Governo di Accordo Nazionale. A causa del deteriorarsi della situazione – e dopo che un colpo di mortaio ha colpito un albergo vicino all’ambasciata italiana – il governo italiano ha ritenuto necessario evacuare parte del personale diplomatico e tecnico, benché la sede diplomatica resti comunque operativa. Nel tentativo di porre un freno alle violenze e ristabilire l’ordine, al-Sarraj ha dichiarato lo stato di emergenza e richiesto l’intervento della Forza anti terrorismo di Misurata. La missione Unsmil delle Nazioni Unite, invece, ha fatto appello alle varie parti coinvolte nello scontro perché si incontrino oggi per provare a trovare un accordo e preservare il governo internazionalmente riconosciuto. Ma a Tripoli dal marzo 2016, quattro fra le più rilevanti milizie locali – riunite in una sorta di unico “cartello” – si sono progressivamente divise il controllo della capitale libica, gradualmente radicandosi nel territorio e nei ranghi delle istituzioni al potere. Estorsioni e frodi sono state uno degli strumenti di finanziamento privilegiati per tali milizie, che si sono dimostrate capaci di infiltrarsi nei gangli della pubblica amministrazione . Anche gli attori esterni stanno contribuendo in maniera rilevante al protrarsi del caos nel paese. Gli attori regionali sembrano sfruttare la complessa situazione libica per guadagnare maggiore influenza nell’area nordafricana; mentre Egitto ed Emirati Arabi Uniti supportano il parlamento di Tobruk e il suo uomo forte, il Generale Khalifa Haftar, Turchia e Qatar sono invece schierati a sostegno delle varie milizie islamiste presenti in Libia. Una sostanziale incapacità di incidere sembra invece caratterizzare l’azione degli attori internazionali, primi fra tutti le Nazioni Unite e l’Unione Europea. Quest’ultima, in particolare, rimane vittima di dissidi tra gli stati membri sulla politica estera per la Libia, che non sembrano destinati a venire meno. In questo contesto, la Francia si è dimostrata particolarmente attiva, nonostante le sue azioni destino forti perplessità. Da una parte, nonostante il sostegno formalmente accordato al Gna di al-Sarraj, Parigi continua ad appoggiare il Generale Haftar. Dall’altra, le iniziative promosse dall’Eliseo negli ultimi mesi – come il vertice convocato dal presidente francese Emmanuel Macron a fine maggio – hanno coinvolto soltanto un numero limitato di rappresentanti politici libici, ben lontano dall’essere rappresentativo della complessità del panorama degli attori coinvolti. La posizione dell’Italia è ambigua e bisognerebbe sostenere i negoziati internazionali ma includendo anche le milizie nella trattativa che devono compiere un passo essenziale trasformandosi da attore militare ad attore politico Occorre, cioè, disinnescare le motivazioni che continuano a rendere più opportuno tenere le armi anziché deporle, rendendole partecipi della distribuzione del potere e delle risorse nel paese. Per arrivare a questo, sul piano interno, è necessario allargare le negoziazioni a tutti gli attori coinvolti, mentre sul piano esterno e in particolare a livello europeo occorre abbandonare interessi peculiari per poter riprendere un processo di pace che, fino a ora, si è mostrato troppo fragile per condurre a risultati tangibili. Resta inteso che in uno scenario così volatile, dove non vi è alcuna prospettiva di pacificazione nazionale nel breve termine, le elezioni previste per il prossimo 10 dicembre si rivelerebbero sostanzialmente inutili se non addirittura controproducenti per dare stabilità al paese. |