“C'è un momento in cui dobbiamo decidere in maniera risoluta cosa fare, in caso contrario la deriva inesorabile degli eventi prenderà la decisione al posto nostro"
(Benjamin Franklin)
Questa frase credo dovrebbe far riflettere tutti.
Nel mio caso, la riflessione è la seguente e riguarda l’immobilismo di questa politica.
Uno dei punti che è chiaro a tutti è che la politica – strumento fondamentale per il governo del paese – non comprende né si interessa più del paese che dovrebbe invece far crescere ed aiutare. Questo – a personale parere di chi non ha esperienza politica e anzi da questa ha sempre cercato di stare lontana per un’avversione alle regole non scritte della politica che è iniziata già ai tempi dell’università – credo possa dipendere da un fattore in particolare, ovvero dal fatto che la politica è diventata un mestiere, che si inizia a scuola e che porta alcuni dei nostri più autorevoli politici “di vecchia data” a non aver mai avuto esperienza diretta di quelli che sono i problemi, le difficoltà e le esigenze di quella parte del popolo che sono stati chiamati a rappresentare.
Parlano di cose che non conoscono, che non gli appartengono, che non hanno vissuto e delle quali non capiscono le dinamiche. Basti pensare a come – negli anni – l’attività di chi crea lavoro, imprenditori e lavoratori autonomi, sia stata complicata da mille leggi, decreti, adempimenti che richiedono sforzi e competenze sempre più attente (che si traducono in maggiori costi per le imprese). Tutto questo colpisce quella fascia buona e sana di imprenditori e lascia invece esenti coloro che lavorano ai margini della legalità, con un sistema che quasi premia chi è disonesto. Ma non sarebbe meglio premiare invece chi è onesto?
Senza pensare alle norme sul lavoro, che studio e applico da più di 15 anni e che vedo cambiare di giorno in giorno, con una frenesia quasi patologica, che non porta a nuova occupazione, anzi. Semma il contrario, perché imprese e consulenti hanno quasi timore ad applicare le leggi, perché non sanno che cosa accadrà nel futuro. Eppure anche qui la ricetta sarebbe semplice e oramai tutti gli attori sociali lo gridano a gran voce da decenni: ridurre il cuneo fiscale. Questo funzionerebbe meglio di mille incentivi e di mille sgravi contributivi!
A questo punto però non c’è più tempo per imparare, occorre avvalersi di chi il paese lo conosce, lo vive. Occorre finalmente ascoltare la voce di imprenditori, lavoratori, giovani, disoccupati e servitori dello Stato (quelli che giorno per giorno prendono servizio per fornirci un servizio essenziale, pubblico).
Le persone della mia generazione faticano a trovare lo stimolo per vedere il bicchiere mezzo pieno, ma ci provano. Non vogliamo fuggire all’estero per continuare a lavorare, a vivere, né vogliamo che i nostri figli siano costretti a farlo (a meno che non sia una scelta voluta e desiderata), ma i nostri politici, chi ci governa, deve decidere e non prendere né perdere più tempo. Se così farà, allora avra il paese pronto a reagire, ad aiutare la ripresa e a fare sacrifici. Per andare avanti, occorre pensare al “Noi” e metterlo al primo posto e non più all’io.
Occorre che i nostri politici, amministratori e governanti, a tutti i livelli - in piena linea di pensiero con i padri della nostra Costituzione – ritornino a pensare che loro sono al servizio dello Stato e non è lo Stato (e quindi i cittadini) ad essere al loro servizio.
Barbara Maiani
2 luglio 2013