Il disegno di legge sul "lavoro agile"- scritto da Maurizio Del Conte, giovane giuslavorista tecnico di fiducia di Palazzo Chigi , autore anche degli altri otto schemi dei decreti del Jobs Act - , anticipato e perorato già un paio di anni fa dalla Europarlamentare Alessia Mosca , arriva in parlamento con un disegno di legge collegato alla Legge di stabilità. Nulla di nuovo, al di là dei 9 articoli che lo declina, poiché la cosìdetta flessibilità lavorativa, ancorata alla norma che pur rimane importante, per essere effettiva deve tramutarsi in prassi. E tutto ciò che illustra il ddl in parola, sottolinea l'importanza del lavoro flessibile che peraltro era già stato normato nel 2008 con l'introduzione della detassazione del salario di produttività; misura non strutturale ma che ripropone ogni anno la possibilità di uno sgravio fiscale sui bonus erogati ai lavoratori attraverso un Fondo stabilito allora nella Legge finanziaria, oggi Legge di stabilità. Istituito l'incentivo (art. 2 D.L. n. 93/2008), con l'intento di favorire la produttività delle aziende e dunque anche la flessibilità - provvedimento collegato soprattutto all'art. 8 della stessa norma, che prevedeva la possibilità di incentivare attraverso la deroga la contrattazione di prossimità - da allora "il lavoro agile" non è stato politicamente sviluppato. La causa sono le resistenze che ancora oggi ne frenano l'adozione. Anzi, è bene ricordare che, nel 2011, proprio per armonizzare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro con anche tipologie di lavoro agile, lo stesso Accordo Comune sottoscritto da tutte le parti sociali e varato nel marzo di quell'anno, subì molte resistenze tra le parti sociali. Per cui, pur prevedendo una serie di tipologie, compreso il telelavoro, il part time, l'orario di lavoro flessibile come soggetti a detassazione secondo art 2 della legge 93/2008 , gli accordi aziendali nelle piccole e medie aziende non sono stati sdoganati. E questo, secondo lo stesso Osservatorio del Politecnico sullo smart working, dimostra essere solo una opportunità realizzata dalle grandi aziende, e non dalle piccole e medie imprese di cui è fatto il 93% del tessuto produttivo italiano. La Legge di stabilità 2016 finalmente mette mano anche ai criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione nonché le modalità attuative di nuove disposizioni ,compresi gli strumenti e le modalità di partecipazione all'organizzazione del lavoro. I quali, come recita appunto la legge di stabilità,- saranno stabiliti con un decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze. Per sviluppare nuove prassi legate alla conciliazione tempi di vita e di lavoro, questa potrebbe diventare la volta buona per contrattare caso per caso una seria flessibilità. La palla dunque passa ai sindacati che, nell'ambito delle relazioni industriali , dovranno prima di tutto studiare e poi convincere i datori di lavoro che per modernizzarsi si potrà concedere per legge ai dipendenti di lavorare fuori dai locali aziendali, anche per un solo giorno a settimana, attraverso dispositivi elettronici con lo stesso stipendio e la stessa copertura assicurativa ( anche allargata per l'occasione),operando così in mobilità anche con un coworking o da dove si vuole,purchè si raggiungano gli obiettivi stabiliti e assegnati e concedendo autonomia. Il ddl prevede proprio l'applicazione degli incentivi fiscali e contributivi rifinanziati dalla Legge di Stabilità 2016 ,bloccati l'anno passato per finanziare gli esodati, ma che quest'anno rifinanzia il Fondo per la contrattazione di secondo livello con 430 milioni per il 2016. Il 10% del quale, come recita il decreto Jobs Act n. 80 (43 milioni) potrà finanziare anche accordi per la flessibilità lavorativa nell'ambito della conciliazione tempi di vita e di lavoro. Peccato che si tenderà a perdere un "pochino di tempo", perché una ridondante Cabina di Regia interministeriale presso il Ministero del lavoro dovrà individuare le buone prassi che, peraltro,sono già state raccolte e analizzate dalla scrivente in un Osservatorio che dal 2012 in occasione appunto dell'Accordo Comune, ha avuto il compito di catalogare puntualmente gli accordi. Rintracciando nelle pieghe di virtuose aziende anche medie e piccole, quelle buone prassi che avevamo indicato nel marzo del 2011 ,dunque soggette a detassazione. Solo il 5% delle aziende medie e piccole italiane - ci segnala l' Osservatorio del Politecnico- ha avviato un progetto strutturato di lavoro agile. E, detto francamente, il management aziendale (di cosa parliamo nelle aziende piccole e medie?) non è nè attenzionato né abbastanza preparato (come peraltro i sindacati) a cogliere questa opportunità per ripensare l'orario e l'organizzazione e il luogo del lavoro in una ottica flessibile. L'effetto "novita'", poi, se non si tratta di una novità strutturata bene può rivelarsi solo una momentanea sperimentazione superficiale destinata a fallire. Solo ripensando culturalmente e scientificamente dentro ad ogni azienda l'organizzazione del lavoro, a fronte di nuovi modelli e di una responsabilità condivisa degli obiettivi che si possono raggiungere in modi diversi (e non inchiodati per otto ore ad un posto di lavoro), l'opportunità, forse, potrà rivelarsi una occasione positiva. Ma per questo ci vuole competenza e ragionevole innovazione e volontà di adottare dei modelli organizzativi anche per essere moderni e competitivi.
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