La mala formazione italiana
Alessandra Servidori
La mala/formazione economica del popolo italiano e un ringraziamento a Mattarella.
Non abbiamo mai smesso di trovarci in campagna elettorale e adesso la disdicevole situazione della formazione di un possibile governo ci ricaccia in mano a dei politici ignoranti sia dal punto di vista del dettato Costituzionale sia da quello economico con particolare riguardo al contesto internazionale ed europeo. Alcune informazione possono servire a far ragionare le italiane e gli italiani disorientati e male informati. Noi saremo sicuramente a Bruxelles il 28 e il 29 giugno con Cottarelli al Consiglio Europeo che sarà anche se in una Europa indebolita- non solo per i gravi problemi italiani e vedremo perché- l’occasione per varare la lunga e lenta riforma dell’eurozona,completare l’unione bancaria e come ha detto Cottarelli “fare un po’ meglio di quello che fino ad ora è stato fatto” e riscrivere le politiche sui migranti per superare nuove crisi che si affacciano. Mentre Macron e Merkel lavoravano senza l’Italia occupata a urlare programmi improbabili di 170 miliardi e dunque colpevolmente assente in un possibile triangolo virtuoso, Orban e Rajoy scuotevano una eurozona debolissima da una Grecia già ai minimi storici, Trump e Putin golosi si leccavano la bocca al solo pensiero di avere lo spazio per dominare quell’alleanza europea , anche costruita da noi italiani allora virtuosi che per ben 70 anni ci ha fatto godere di un benessere e di una pace sociale e politica che non tornerà più. Una scissione della realtà del popolo italiano che trova nel ventre molle del populismo l’idea demenziale del non rispetto delle regole di bilancio con un debito pubblico di 130% del prodotto interno lordo ed essere i secondi cattivi ragazzi dopo la Grecia del bulletto Varufakis copiato da un Renzi che ha arrogantemente profuso atteggiamenti antieuropeisti seguiti a ruota dal Salvini e Di Maio ed esclusi comunque dal secondo fondo monetario salva stati impegnati a sottrarre alla commissione ue il controllo sui bilanci nazionali dopo la colpevole politica concessa di flessibilità all’Italia senza ottenerne miglioramenti in termini di crescita. Care italiane e cari italiani questa è la situazione e servono conti sani pubblici e pulizia dei bilanci bancari. E’ in arrivo l’Edis la garanzia unica dei depositi bancari che salverebbe però i correntisti sotto i 100 mila euro dai futuri,certi,smottamenti bancari insomma una condivisione del rischio ma a noi molti paesi del Nord Europa non ci vogliono perché una sorta di mutalizzazione senza la diminuzione del rischio –e dunque una sanitarizzazione del sistema bancario nostrano e del debito– non ci prendono e non si fa e se il governo italiano non applica SUBITO una politica di razionalizzazione della spesa pubblica e dunque taglio del debito come vuole giustamente fare Cottarelli ,siamo estromessi da ogni possibile accordo. Altro che governo giallo verde.Grazie Presidente Mattarella.
Lettera aperta al Presidente Mattarella
Alessandra Servidori
Lettera aperta al Presidente Mattarella 25 maggio 2018
Egregio e caro Presidente, continuo in questo momento faticosamente politico per il nostro Paese ad avere fiducia nella Sua persona e a scriverLe direttamente con la presunzione ottimista che possa servirLe avendo una discreta autostima dei ragionamenti che pongo alla Sua riflessione. Conoscendo bene la Costituzione Italiana mi auguro che faccia valere l’art 92 della Costituzione che disciplina la formazione del Governo con una formula semplice e concisa: "Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri". Secondo tale formula sembrerebbe che la formazione del Governo non sia frutto di un vero e proprio procedimento. Invece, nella prassi, la sua formazione si compie mediante un complesso ed articolato processo, nel quale si può distinguere la fase delle consultazioni (fase preparatoria), da quella dell'incarico, fino a quella che caratterizza la nomina. Prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i Ministri devono prestare giuramento ed ottenere la fiducia dei due rami del Parlamento come prescritto dagli articoli 93 e 94 della Costituzione.) e dunque Le consenta di metter ordine in questa gabbia di presuntuosi e arroganti giovanotti e giovanotte dove, con violenta procedura extracostituzionale, comandano viscidi abatini , insolenti e bulimici prepotenti capipartito con voci e supporter fuori campo che aizzano vergognosamente le folle contro i dettati costituzionali e dove la strada del Palazzo presidenziale è costellata di olio bollente per chi non osanna i barbari e il loro proclama di assedio ,l’ ospite di palazzo Chigi e i suoi adepti siano già stati vergognosamente designati dai capetti, imbavagliando Lei Presidente . Sono e rimango fiduciosa in uno scatto di sano coraggio. Con stima Alessandra Servidori
La maternità difficile se non impossibile
ALESSANDRA SERVIDORI
La maternità italiana difficile se non impossibile
Un dossier di Save the children fa una classifica delle regioni e delle città italiane nelle quali conciliare figli e lavoro è maggiormente difficoltoso. Al Nord -Bolzano e Trento - i migliori servizi ed un welfare che permette alle mamme di lavorare e di conciliare casa e lavoro, mentre le maggiori difficoltà si riscontrano in Campania dove i servizi sono carenti ed il lavoro scarseggia. In generale, le regioni e le città del Nord dimostrano una politica family friendly, mentre quelle del Sud vedono una situazione difficile che spesso scoraggia le mamme dal lavoro, anche quando lo trovano con grande difficoltà. É evidente che l’annosa questione della conciliazione della vita familiare con quella professionale, in mancanza di un welfare amichevole e di supporto, continua a costituire un enorme problema per le donne, ma anche per l’intera società, dal punto di vista demografico visto che il tasso di natalità decresce continuamente. É sempre più urgente mettere in atto tentativi per risolvere questo gravissimo problema, pensare a miglioramenti strutturali ed anche organizzativi del lavoro, altrimenti il lavoro di cura continuerà, come giustamente ha osservato Save the Children, a gravare sulle donne e sull’occupazione con tutti i risvolti negativi che già vediamo ma che rischiano di diventare ancora più seri. Intanto l’Italia diventa sempre più vecchia: la popolazione italiana al primo gennaio 2018 è di 60 milioni 494 mila residenti, quasi 100 mila in meno rispetto all’anno precedente. Le nascite del 2017 sono 464 mila, il 2% in meno rispetto alle 473 mila del 2016: abbiamo raggiunto dunque un nuovo minimo storico. Le nascite, peraltro, registrano la nona consecutiva diminuzione dal 2008, anno in cui furono pari a 577mila. L’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità e gli altri riposi consentiti alla madre nei primi anni di vita del bambino hanno lo scopo di proteggere la salute della lavoratrice e del bambino. In Europa, negli Usa e in altri paesi sono perciò previsti speciali diritti e garanzie per le madri che lavorano, con durata e forme differenti. I criteri con i quali sono finanziate queste tutele hanno conseguenze economiche.A noi interessa la situazione italiana dove la componente femminile occupata è più distante dalla media europea (rispettivamente 52,5% e 66,5%).La legge italiana prevede l’astensione obbligatoria dal lavoro (il cosiddetto congedo di maternità) e successivamente riposi giornalieri e altri periodi di astensione facoltativa dal lavoro, finché il bambino non supera gli otto anni. Durante il congedo, l’Inps eroga alle lavoratrici l’80 per cento della retribuzione, con i corrispondenti contributi figurativi. Alcuni contratti collettivi pongono a carico dell’impresa il restante 20 per cento. Il periodo di congedo è computato “nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità, alla gratifica natalizia e alle ferie” (articolo 22, comma 3, legge 151 del 2001). Di conseguenza, durante il congedo per maternità la lavoratrice riceve il salario intero, in parte pagato dall’Inps e in parte, quando previsto dal Ccnl, dal datore di lavoro, che inoltre provvede interamente alla tredicesima, all’eventuale gratifica e al periodo di ferie, come se la lavoratrice non si fosse assentata dal lavoro. La maternità impone all’impresa anche costi indiretti organizzativi. Prima dell’inizio del congedo di maternità, sarebbe necessario assumere un altro lavoratore e addestrarlo,mentre sempre più spesso una parte dei compiti della dipendente assente è suddivisa fra i lavoratori più anziani che possiedono le competenze necessarie, ai quali vanno però pagati gli straordinari. Riorganizzare il lavoro per un’assenza per maternità ha dunque un costo per l’azienda, soprattutto per le competenze professionali che vengono a mancare. Il costo per il congedo di maternità di una lavoratrice è difficile da misurare :nel 2008 un lavoratore impegnava in media l’azienda per 39.647 euro e non è possibile distinguere il costo per un uomo da quello per una donna. Peraltro, nel 2010, nelle imprese e istituzioni con almeno dieci addetti (esclusa la Pa) il differenziale salariale fra femmine e maschi era( misurato per difetto) del 5,3 per cento. Supponendo tredici mensilità, sei rappresentano il costo di servizi lavorativi prestati, cinque sono pagate dall’Inps per l’80 per cento, una è relativa alle ferie e la restante alla tredicesima. Con questi dati, il costo sostenuto da un’impresa per un congedo di maternità nel 2008 era pari a 5.822 euro ai quali aggiungere i costi per i riposi giornalieri, le astensioni facoltative dal lavoro, e quelli organizzativi. Non sono costi irrilevanti e le imprese, a parità di produttività e salario, tendono a scegliere un uomo per coprire un posto di lavoro invece di una giovane donna. In Italia i costi della maternità sono una causa non trascurabile dei bassi tassi di occupazione delle donne fra i 25 e i 44 anni e della maggiore precarietà del lavoro femminile, fenomeni che a loro volta riducono il capitale umano delle donne. Con un contratto stabile, infatti, le imprese hanno convenienza a fornire maggiori competenze professionali al personale e il lavoratore si impegna di più per acquisirle. La soluzione è ritenere la maternità un bene comune e indennizzare completamente le imprese per i costi della maternità delle lavoratrici con contratto a tempo indeterminato. Attualmente le donne che lavorano, sono passate dal 51,6% del 2016 al 52,5% del 2017. Salgono (+1,9%) gli occupati over 55, passati su anno dal 50,3% al 52,2%, con differenze significative tra uomini (62,8% nel 2017) e donne (42,3%), dati che però risentono della riforma previdenziale, che ha allontanato di diversi anni l'età della pensione. I nuovi nati, abbiamo visto sono diminuiti , e supponendo che i nati riguardino la popolazione femminile fra i 15 e i 44 anni e che si distribuiscano fra le lavoratrici con un contratto stabile di lavoro come fra le donne della stessa classe di età, i neonati con madre lavoratrice stabile sono veramente pochissimi. Nel 2008 il costo sostenuto dall’insieme dei datori di lavoro per il congedo di maternità era di poco inferiore a un miliardo di euro. Restano da calcolare i costi per le altre astensioni dal lavoro retribuite e i costi organizzativi della maternità, per la cui approssimazione mancano le informazioni necessarie. Per finanziare la maternità se l’indennizzo fosse invece finanziato con la fiscalità generale, tramite il sistema dei fondi bilaterali si produrrebbero meno distorsioni nell’economia e trascurando gli effetti del prelievo fiscale, si avrebbe un aumento della domanda di personale femminile stabile.
A proposito di cancro
ALESSANDRA SERVIDORI A proposito di cancro
Nella giornata nazionale dedicata alla lotta – terza domenica di maggio-al cancro facciamo il punto su due aspetti fondamentali di cui ci siamo occupati attraverso la predisposizione di due guide gratuite che abbiamo distribuito sui luoghi di lavoro: Patologie oncologiche invalidanti e ingravescenti.Cosa dobbiamo sapere quando incontriamo la malattia. E Guida alla normativa per i caregiver. Entrambi i punti oggi analizzati sono un estratto essenziale del Rapporto annuale sulle patologie oncologiche.
1) I programmi per il miglioramento della qualità dei servizi sanitari e sociosanitari oggi rappresentano un investimento necessario per il miglioramento dell’assistenza ai pazienti, necessaria anche a garantire la sostenibilità del sistema. E’ fondamentale una maggiore attenzione dei decisori nei confronti dei concetti e degli strumenti “risk management” e, in relazione alla sfera dell’attività clinica, “clinical governance” e di “clinical risk management”. L’attivazione di programmi ci dà la possibilità di misurare l’efficacia del sistema sanitario nel suo complesso, osservabile nel tempo, di obiettivi concreti. ll risk management comprende qualità, governo clinico e appropriatezza, che si sviluppano secondo un percorso che si snoda in due parti : prima entra in gioco la ricerca di pratiche cliniche sempre più improntate a criteri di evidenza scientifica, che sottolineano una esplicita responsabilizzazione dei professionisti, attraverso la valutazione continua dell’assistenza, necessaria per impostare azioni di miglioramento dell’efficacia e della sicurezza ;la seconda fase entra in gioco più esplicitamente il tema della riabilitazione della persona , che accanto alla riduzione del rischio, chiede una serie di azioni positive che gli consentano una piena riabilitazione anche sul piano sociale. Anzi possiamo dire che, senza una piena riabilitazione sul piano sociale, non c’è neppure piena guarigione, perché il paziente continuerà a sentirsi paziente e difficilmente si libererà di questa sua identità ferita, che lo condiziona e lo limita nella sua sfera esistenziale. Per questo la riabilitazione del malato di cancro deve diventare parte integrante dei LEA: deve entrare a far parte del riconoscimento dei diritti individuali del soggetto, come Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici 15 recita il comma 2 dell’Art. 3 della nostra Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli ... che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La riabilitazione oncologica contribuisce a rimuovere gli ostacoli che impediscono ad una persona di riprendere la sua attività, a cominciare da quella professionali e quindi riducono la sua partecipazione alla vita politico economica del paese. Sarebbe necessario che al Ministero della Salute venisse creato un tavolo di lavoro e di confronto per meglio definire quali modelli di riabilitazione dovessero essere inseriti tra i LEA. Alla persona non basta essere considerato clinicamente guarito. Vuole riprendere le sue attività e mostrare agli altri, prima ancora a se stesso!, che la malattia è stata un’opportunità da cui è uscito con maggiore energia fisica e morale. In questo senso va preso atto che è cambiato il modo di comunicare agli altri che si è stati colpiti dal cancro, facendo una sorta di outing, come hanno fatto recentemente persone che appartengono al mondo dello spettacolo, della cultura, e dello sport. Si comunica la malattia quando la si è superata e ci si sta reinserendo nel proprio campo professionale, recuperando le proprie attività sociali. Lo si fa evidenziando il ruolo positivo della famiglia, degli amici, e non solo la competenza degli specialisti a cui ci si è affidati. Il reinserimento socio-professionale è considerato uno degli indicatori più efficaci delle buone condizioni della persona e del recupero della sua autonomia nei processi decisionali che lo riguardano. Sempre più oggi appare indispensabile la condivisione e la relazione con “l’altro”. Il care giver diventa una sorta di coach che si inserisce nelle dinamiche etiche e cliniche di una nuova concezione del prendersi cura. In fase riabilitativa i due scenari dominanti sono la famiglia, come luogo degli affetti e delle responsabilità, e il lavoro come luogo di una rinnovata progettualità professionale, in cui si desidera andare oltre i limiti, più o meno reali, posti dalla malattia. Tra gli ostacoli che maggiormente pesano nella fase riabilitativa, se non è completa e formalmente conclusa, sono interessanti due esempi emersi dal dialogo con soggetti clinicamente guariti, ma su cui pesa lo stigma della malattia. Il primo riguarda Aziende, che non vogliono investire in termini di progressione di carriera su persone che sono state malate di cancro. Optano per un parcheggio tanto protettivo quanto umiliante; una sorta di congelamento socio-professionale, giustificato dal timore di possibili recidive. E in questa linea si pone anche il rifiuto di alcune banche a concedere mutui a medio termine, nel timore che la persona, se si dovesse presentare una recidiva, non possa far fronte alle scadenze. Consideriamo: che tutti siamo potenzialmente soggetti ad ammalarci di tumore, a livello personale o nella persona di qualcuno che ci è molto caro: un familiare, un collega di lavoro, un amico. Nessuno può sottrarsi alla relazione di aiuto verso chi è o è stato malato; nei professionisti che si occupano di malati oncologici, oltre alla preparazione tecnico-scientifica, non può mancare un approccio multidimensionale ricordando che si è alleati del malato e non della malattia. È un’alleanza di tipo inter-personale, che non si esaurisce con il cessare della malattia, ma accompagna la persona lungo tutto il suo iter riabilitativo, fino ad un pieno reinserimento sociale; i progressi della medicina e della tecno-scienza consentono oggi ai pazienti di guarire più facilmente, passando dalla fase acuta ad una cronicità ad alto funzionamento, che aggiunge anni alla loro vita e potrebbe aggiungere qualità ai loro anni. Emergono così nuove aspettative di normalizzazione socio-professionale che pongono al SSN nuove richieste in termini di Livelli essenziali di assistenza soprattutto in fase riabilitativa per superare quella sottile linea di confine che separa la malattia dalla salute, colui che è stato malato da chi è sano e aspira ad una piena realizzazione di sé. Per questo è urgente creare un tavolo di confronto: per non deludere chi guarito dal cancro corre il rischio di ammalarsi per le mancate scelte di una società miope e avara.
2) Il caregiving rappresenta uno strumento imprescindibile per la sostenibilità dei sistemi sanitari. A livello dell’UE, infatti, è allo studio una proposta di direttiva in tema di Work-Life Balance for Parents and Carers, volta a trovare il punto di equilibrio tra attività professionale e vita familiare dei prestatori di assistenza In Italia, dopo anni di grave ritardo, si registra finalmente un’importante attività parlamentare volta all’approvazione di una legge che riconosca e tuteli il caregiver. Nel corso della XVII legislatura appena conclusa, infatti, sono stati presentati in Senato ben tre disegni di legge, poi riuniti in una proposta di testo unificato dalla X Commissione Lavoro e previdenza. L’attività dei caregiver, elemento fondamentale dell’assistenza domiciliare, si colloca nel solco del lento cambiamento culturale che vede un riposizionamento delle prestazioni ospedaliere nel complesso dei sistemi sanitari. Per i malati oncologici il supporto del prestatore informale di assistenza rappresenta un vero e proprio elemento della cura, non soltanto per le attività pratiche messe in campo dal caregiver, ma anche per il valore che l’assistenza a domicilio, prestata da una persona di fiducia, presenta in relazione al benessere psicofisico del malato. Il volontariato oncologico non può che valutare positivamente tali iniziative legislative, che hanno avuto il merito di interrompere l’inerzia, ormai ingiustificabile, del legislatore statale, per quanto, le stesse, al punto in cui si sono arrestate, non presentano contenuti sufficienti. La proposta di testo unificato, infatti, non introduce alcun nuovo diritto per il caregiver e presenta una definizione di prestatore volontario poco chiara che potrebbe ingenerare, nella pratica applicazione della futura normativa, più di un dubbio interpretativo. Sarebbe invece necessario prevedere una compensazione della perdita di reddito familiare dovuta al duplice abbandono del lavoro, del malato e di chi se ne prende cura, attraverso l’introduzione di adeguati benefici. L’urgenza di definire un siffatto sistema di tutele è determinata anche dalla previsione, nella legge di Bilancio per il 2018 del Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, finanziato con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020. Senza criteri chiari, non sarà possibile finanziare alcuna azione concreta. Alla base dei tre disegni di legge e del testo unificato, inoltre, vi è un modello univoco di caregiver e ciò, se non si interverrà per tempo e con decisione, determinerà l’irrilevanza nel panorama normativo delle specificità della malattia oncologica. Un adeguato, e per questo finanziabile, sistema di tutele per il prestatore di assistenza, tuttavia, non può che essere costruito intorno al fabbisogno che genera la malattia, e il cancro, in ogni sua fase di sviluppo e progressione, determina peculiari esigenze del malato e quindi comporta un diverso grado di coinvolgimento del caregiver. Il volontariato oncologico è impegnato dunque per il futuro a promuovere il riconoscimento delle specificità del caregiving in oncologia, affinché il nuovo legislatore, appena eletto, possa riprendere la discussione sulla proposta di testo unificato con una nuova consapevolezza e, pertanto, possa predisporre misure di sostegno e tutele efficaci per “chi si prende cura” di un malato di cancro.
Una Italia ingiallita e stanca
Alessandra Servidori Una fotografia dell’Italia ingiallita e stanca 17 maggio 2018
Un Paese già con problemi prima della crisi del 2008 e che anziché riformare la spesa pubblica e il mercato del lavoro senza preoccuparsi di verificarne l'impatto in termini economici e sociali, e mettere in moto energie vitali dei corpi intermedi,come ci segnala il Rapporto Istat 2018 sulla situazione socio-economica del Paese,registra tutti dati negativi rispetto gli altri paesi. Siamo il secondo Paese più vecchio al mondo (168,7 anziani ogni 100 giovani), con un declino demografico inarrestabile per il terzo anno consecutivo, una Italia sempre più fragile (il 17,2% degli italiani si sente privo o quasi di sostegno sociale), dove crescono le diseguaglianze, la povertà assoluta e gli indici di sofferenza sociale, con un ascensore sociale sostanzialmente bloccato e un Sud sempre più arretrato e devitalizzato, con i nostri giovani che scappano all’estero seguiti a ruota dai pensionati che trovano il tesoro della qualità della vita a costi sostenibili nei paradisi del Portogallo, della Spagna,della Grecia,lì dove il sole splende tutto l’anno. Si allarga paurosamente la forbice delle disuguaglianze e della povertà per le persone già più fragili di una società sempre più anziana e con aspettativa di vita in diminuzione, un’ Italia dove la natalità precipita da un decennio sistematicamente e dove l’unico intervento pare essere il reddito di inclusione mentre all’orizzonte si prospetta il reddito di cittadinanza che anziché sostenere la ricerca di un lavoro è puro assistenzialismo. Un Paese in cui la salute e le cure sottoposte a tagli producono disagi gravi e mancanza di servizi adeguati sia alle persone non autosufficienti sia ai minori ,sia un malessere continuo nelle comunità lavorative e mancanza di prospettiva e sviluppo sia per le famiglie che in particolare per le italiane soffocate nella sostituzione del welfare che non c’è. Noi dobbiamo essere consapevoli che le sole voci che più hanno contribuito a non affondare il nostro paese sono state le esportazioni ed il turismo. Nel caso del turismo il miglioramento è in buona parte conseguenza delle disgrazie altrui, cioè delle turbolenze dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, a partire dalla Turchia per finire all'Egitto e alla Tunisia. Le nostre strutture ricettive e il modello organizzativo del turismo nazionale non mostrano infatti alcun miglioramento della capacità concorrenziale e continuiamo a perdere quote di mercato nei confronti di Grecia e Spagna. Riguardo al commercio estero, nonostante la mancanza di grandi imprese, dimostriamo ancora dinamismo con aziende che si misurano nella solitudine più assordante con successo nei mercati stranieri ma sappiamo bene che negli ultimi mesi un sostanzioso contributo alla timida ripresa è tuttavia venuto dagli investimenti, aiutati dalle nuove regole sugli ammortamenti e dai crescenti incentivi pubblici. Non si colmerà mai il divario di velocità che da troppi anni ci separa dagli altri paesi europei se non metteremo mano alla riforma del nostro apparato burocratico ,e se alla ripresa degli investimenti nel settore manifatturiero si aggiungesse una spinta nell'edilizia e nei lavori pubblici, il quadro migliorerebbe subito. Mentre nel campo dell'edilizia residenziale bisogna in parallelo operare nella direzione di radicali miglioramenti qualitativi ( privilegiando ad esempio i grandi progetti di ristrutturazione urbana) nel campo dei lavori pubblici occorre semplicemente mettere mano all'esecuzione degli infiniti progetti esistenti e finanziati. La crescita mondiale rimarrà intorno al 3,5%, quella europea al 2,2% mentre la Germania crescerà del 2,5% e l'Italia ancora un punto e mezzo in meno e naturalmente il tutto se non si verificheranno radicali sorprese nei tassi di cambio.
L'EUROPA STA PER RALLENTARE E L'ITALIA.......
ALESSANDRA SERVIDORI www.formiche.net L'EUROPA STA PER RALLENTARE E L'ITALIA..............
Stiamo attendendo non il nome del prossimo Presidente del Consiglio e dei possibili 20 ministri del governo Lega/Pentastellati ma le priorità che il loro programma svilupperà per il nostro Paese. Sappiamo bene che l’economia italiana è cresciuta poco negli ultimi vent’anni che ha accelerato un po’ nel 2017, ma hanno accelerato anche tutti gli altri paesi e il distacco dal gruppo comunitario sta aumentando.
L’economia italiana non riesce a recuperare perché alcuni ostacoli molto ingombranti ne impediscono la crescita: eccessiva spesa pubblica, evasione fiscale, corruzione, eccesso di burocrazia, lentezza della giustizia, crollo demografico, divario tra nord e sud, difficoltà a convivere con l’euro sono pesi piombati che dobbiamo saper superare. È questa la sfida e principalmente questo è il programma per i prossimi mesi: non c’è nessuna possibilità di ripresa se abbiamo consapevolezza che nel prossimo biennio il tasso di sviluppo medio atteso subirà ancora un rallentamento per l’incremento dell’Iva legata alle clausole di salvaguardia pari a 30 miliardi: infatti il pil scenderà dall’1,5% – stima eccessivamente buonista per il 2018 – all’1,3% e non c’è via di fuga rispetto alla riduzione della spesa o all’aumento delle tasse usando il disavanzo già abusato e condonato da Bruxelles al precedente Governo di 40 miliardi di flessibilità e di tempo per rispettare gli obiettivi con la UE.
Il prossimo nostrano ministro dell’economia dovrà necessariamente ricorrere al taglio della spesa corrente anche perché “i favoritismi” concessi all’Italia non troveranno più disponibili gli altri 9 paesi virtuosi fiscalmente del nord europa stanchi di reggere la coda ad un Paese che li costringe a sostenere con le proprie finanze pubbliche uno Stato che non è capace di rispettare le regole mettendo così in difficoltà tutta l’economia ue. È bene fare i conti con la nostra spesa pubblica aumentata di ben 24 miliardi e con il taglio della spesa per la produttività: la nostra spesa pensionistica sta lievitando nonostante il provvedimento della riforma osteggiata e un numero esagerato di persone in povertà assoluta in cui i giovani e la famiglia pagano un prezzo altissimo.
Ha fatto bene il Presidente Mattarella in queste ore a ricordare che fuori dall’Europa non c’è futuro e il prossimo governo dismetta i panni populisti e dica la verità: i conti italiani NON sono a posto e anzi sono ingannevoli le promesse per anni fatte agli italiani e NON si può non partire da un aggiustamento fiscale con provvedimenti strutturali perché la BCE fra non molto toglierà la copertura data fino ad oggi e saranno assunte decisioni fondamentali su come riformare l’eurozona. Decisioni in cui l’Italia deve contare per avere sostegno nell’interesse nazionale su beni pubblici europei, controllo delle frontiere, politica estera onorando l’impegno per le politiche fiscali.
Lega e Pentastellati : attendiamo che onoriate l'Italia verso l'Europa
Alessandra Servidori
Stiamo attendendo non il nome del prossimo Presidente del Consiglio e dei possibili 20 ministri del governo Lega/ Pentastellati ma le priorità che il loro programma svilupperà per il nostro Paese. Sappiamo bene che l'economia italiana è cresciuta poco negli ultimi vent'anni che ha accelerato un po’ nel 2017, ma hanno accelerato anche tutti gli altri paesi e il distacco dal gruppo comunitario sta aumentando. L’economia italiana non riesce a recuperare perché alcuni ostacoli molto ingombranti ne impediscono la crescita : eccessiva spesa pubblica, evasione fiscale, corruzione, eccesso di burocrazia, lentezza della giustizia, crollo demografico, divario tra nord e sud, difficoltà a convivere con l'euro sono pesi piombati che dobbiamo saper superare .E’ questa la sfida e principalmente questo è il programma per i prossimi mesi : non c’è nessuna possibilità di ripresa se abbiamo consapevolezza che nel prossimo biennio il tasso di sviluppo medio atteso subirà ancora un rallentamento per l’incremento dell’Iva legata alle clausole di salvaguardia pari a 30 miliardi:infatti il pil scenderà dall’1,5% -stima eccessivamente buonista per il 2018- all’1,3% e non c’è via di fuga rispetto alla riduzione della spesa o all’aumento delle tasse usando il disavanzo già abusato e condonato da Bruxelles al precedente Governo di 40 miliardi di flessibilità e di tempo per rispettare gli obiettivi con la UE. Il prossimo nostrano ministro dell’economia dovrà necessariamente ricorrere al taglio della spesa corrente anche perché “i favoritismi” concessi all’Italia non troveranno più disponibili gli altri 9 paesi virtuosi fiscalmente del nord europa stanchi di reggere la coda ad un Paese che li costringe a sostenere con le proprie finanze pubbliche uno Stato che non è capace di rispettare le regole mettendo così in difficoltà tutta l’economia ue.E’ bene fare i conti con la nostra spesa pubblica aumentata di ben 24 miliardi e con il taglio della spesa per la produttività: la nostra spesa pensionistica sta lievitando nonostante il provvedimento della riforma osteggiata e un numero esagerato di persone in povertà assoluta in cui i giovani e la famiglia pagano un prezzo altissimo. Ha fatto bene il Presidente Mattarella in queste ore a ricordare che fuori dall’Europa non c’è futuro e il prossimo governo dismetta i panni populisti e dica la verità : i conti italiani NON sono a posto e anzi sono ingannevoli le promesse per anni fatte agli italiani e NON si può non partire da un aggiustamento fiscale con provvedimenti strutturali perché la BCE fra non molto toglierà la copertura data fino ad oggi e saranno assunte decisioni fondamentali su come riformare l’eurozona. Decisioni in cui l’Italia deve contare per avere sostegno nell’interesse nazionale su beni pubblici europei, controllo delle frontiere, politica estera onorando l’impegno per le politiche fiscali.
Un 1°Maggio di passione!
Alessandra Servidori Un 1° maggio di passione
L’altalena della disoccupazione femminile italiana continua a volteggiare creando illusioni e soprattutto nasconde verità : Istat a gennaio 2018 indicava l’aumento dell’occupazione determinato dalla componente femminile (+0,4%) a fronte di un calo per quella maschile (-0,1%). E così il tasso di occupazione dei 15-64enni scendeva al 67,0% per gli uomini (-0,1 punti percentuali) mentre saliva al 49,3% per le donne (+0,2 punti). Ecco però che in aprile l’aumento della disoccupazione interessa sia gli uomini (+1,7%) sia, in misura piu’ marcata, le donne (+2,9%). Il tasso di disoccupazione maschile sale al 10,2% (+0,2 punti percentuali), quello femminile al 12,3% (+0,3 punti). Il calo degli inattivi tra i 15 e i 64 anni interessa prevalentemente le donne (-0,9%) e in misura piu’ lieve gli uomini (-0,1%). Così cosa possiamo dirci buona festa del lavoro?Pare proprio di no anche perché le proposte di chi si candida a governare ( i grillozzi ) vero è che sono abbastanza demenziali. Se si paga un salario a chi non lavora e si tassa chi lavora, la disoccupazione tende a aumentare. Nel Paese del terzo debito pubblico al mondo meglio prima che poi occorrerà mettere mano alla legge di Bilancio e al Def, dopo essersi chiariti le idee. Le due misure di cui si parla da tempo costerebbero un capitale: il reddito di cittadinanza e la riforma delle legge Fornero. Il primo peserebbe sui conti dello Stato per circa 35 miliardi, la seconda avrebbe invece un impatto per almeno 11 miliardi annui. La flat tax della Lega prevede un’aliquota proporzionale del 15% e una deduzione per tutti i componenti familiari di 3 mila euro ciascuno fino a 35 mila e di 3 mila euro per ciascun figlio fino 50 mila euro, dopo non si ha più diritto ad alcuna deduzione. Il reddito di cittadinanza è garantito a coloro che guadagnano meno dei 6/10 del reddito mediano equivalente, cioè meno di 9.360 euro netti annui, e consiste in una integrazione per raggiungere quella cifra. La proposta del M5S prevede la perdita del sussidio solo se il beneficiario dovesse rifiutare tre proposte congrue di impiego o recedere senza giusta causa dal contratto di lavoro per due volte nel corso dell’anno solare. Come sarebbero ripartiti i guadagni tra le aree geografiche del Paese? Nel caso della flat tax buona parte del risparmio di imposta (il 58% del totale, cioè 34 miliardi su un totale di 58) andrebbe a favore delle famiglie residenti nell’Italia settentrionale. Al contrario, il 58% della spesa totale per il reddito di cittadinanza (cioè circa 9 miliardi) sarebbe ottenuto dalle famiglie del Sud e solo un quarto andrebbe al Nord.In buona sostanza si tratta di manovre che costano e che per di più tenderebbero ad aumentare invece di ridurre le differenze tra Nord e Sud, rendendo anche ardua qualsiasi maggioranza che appoggi un esecutivo. La riforma delle pensioni ammorbidita - come non è ancora dato capire- la Ragioneria Generale la esclude. Ecco facciano bene i conti chi aspira ad avere l’incarico dal Presidente Mattarella e non prendano per i fondelli gli italiani!
La Ue ci prende (giustamente)a sberle
Alessandra Servidori - Continuiamo a prendere sberle dalla UE- 26 aprile 2018
Mentre in Italia si consuma il flirt contro/natura dei grillini e dei pidiessini di cui mi vergogno , la COMMISSIONE Europea ha aperto l’ennesima indagine per verificare se l’imponente carico di risorse di prestito- ponte stanziate per l’agonizzante Alitalia abbia violato il divieto previsto di utilizzare denaro pubblico per gli aiuti di Stato. La legge sull’aiuto di Stato è generalmente il termine comune per indicare il divieto previsto nel trattato degli Stati membri di fornire sovvenzioni alle imprese che minacciano di distorcere la concorrenza nell’Unione Europea. L’esatta definizione degli aiuti di Stato è ricavabile dall’articolo 107, paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), versione consolidata, da ultimo modificato dall’articolo 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n.130 ed entrato in vigore l’1 dicembre 2009. Secondo questa disposizione, qualsiasi aiuto concesso da uno Stato membro o da risorse statali in qualsiasi forma che distorce o minaccia di falsare la concorrenza favorendo talune imprese o la produzione di determinate merci, sarà, nella misura in cui interessa gli scambi tra stati membri, incompatibile con il mercato interno. Come sappiamo bene Alitalia è in amministrazione controllata dopo un decennio di sprechi e favoritismi del personale in cui non c’era italiano che preferisse usare la compagnia di bandiera ma optasse per qualsivoglia altra compagnia straniera date le tariffe esose e assolutamente gravate da scioperi ricorrenti .Così dopo il clamoroso scivolone effettuato di recente per gli “aiutoni” alle banche dove la Commissione ci ha contestato l’intervento nelle famose “cattive banche” ancora oggi agonizzanti che ci hanno rifilato derivati ,eccoci di nuovo sotto inquisizione perché pare che il prestito ponte ad Alitalia –oltre 400 milioni-sia stato disinvoltamente concesso senza la clausola di garanzia prevista del prestito da restituire in sei mesi. Va ricordato che vi sono regole minimali che devono essere soddisfatte per poter classificare una misura come aiuto di Stato. Una riguarda l’evenienza che il provvedimento venga concesso da uno Stato o quantomeno da risorse statali e tale aiuto deve provenire dalle risorse economiche dello Stato. E sia Alitalia che le Banche sono state salvate con risorse pubbliche. Al riguardo, e qui , comincia il dubbio :lo Stato,nell’accezione più ampia, comprende non solo lo Stato di per sé ma anche le amministrazioni e le società che hanno stretti legami con esso e svolgono importanti funzioni amministrative? Il punto dirimente è se lo Stato abbia o meno un’influenza determinante sull’impresa. Qualora lo Stato agisca come investitore privato nell’economia di mercato, l’intervento verrà considerato come un normale investimento. Tale intervento non è considerato rientrante nel divieto di aiuti di Stato previsto all’art. 107 TFUE. Allora se le aziende controllate dallo Stato, pertanto, eseguono transazioni orientate al mercato, non si tratta di aiuto così come previsto dal trattato sul funzionamento dell’UE? Il regolamento Ue comunque e cioè sempre l’art. 107, par.1, del TFUE parla espressamente di imprese favorite,cioè il beneficiario dell’aiuto deve versare in condizioni migliori, rispetto alla situazione pregressa, dopo averlo ricevuto, di modo da avvalorare il fatto di aver ricevuto un vantaggio concreto. Sia le Banche che Alitalia non hanno dimostrato di essere diventate virtuose. Anzi. L’art. 107, par.1 del TFUE, vieta espressamente gli aiuti di Stato se e solo favoriscano determinate imprese o la produzione di determinati beni. Ciò significa che è vietata la misura mirata a un’impresa o a gruppi di imprese specifici. Appunto. Ultima considerazione che taglia la testa al toro : il regolamento Ue prevede che sia operativo il cosiddetto “obbligo di stand-still”, ovverossia l’obbligo di notificare alla Ue le misure di aiuto di Stato affinché possa effettuarne una valutazione in merito alla compatibiltà con il mercato interno, o se addirittura sia totalmente irregolare. In attesa di questa valutazione, lo Stato membro non può dare attuazione alla misura. Invece……..
Rappresentazione avvilente del teatrino politico italiano tra urla e schiamazzi
Alessandra Servidori
Va in scena una rappresentazione avvilente del teatrino politico italiano tra urla e schiamazzi
Towanda! era una mitica amazzone ma è anche una frase di Idgie Threadgoode tratta dal film Pomodori verdi fritti alla fermata del treno:è anche l’urlo della simpatica protagonista che nel film agiva come la giustiziera degli oppressi ; Harambee! E’ L’urlo che nei villaggi in Kenya, con le strade in terra battuta, può capitare di sentire quando l'autobus si impantana e l'autista faccia scendere tutti per farlo spingere : così dopo la kermesse Leopolda di Renzi ,Francesca Puglisi capitana le donne pidiessine e Richetti uomini avviliti : tutti all’attacco di un partito agonizzante,mentre il Presidente della Camera Fico,populista grillino ambizioso , pur di non farsi trasportare dall’autista, mette in scena la patetica scalata al Quirinale con carabinieri, uomini di scorta,giornalisti tutti a piedi dietro di lui in una patetica squadra costata all’erario statale una cifra esorbitante .Il Presidente della Repubblica ha a che fare con un panorama di personaggi a dir poco bizzarri e impresentabili ed una prospettiva di governo del paese raccapricciante . Noi italiani,ci meritiamo tutto questo?Siamo praticamente gli unici a livello europeo a non aver conservato un nucleo di culture politiche che altrove, invece, resistono e continuano a garantire la tenuta del sistema. Ci meritiamo un tempo buio in cui a mancare è il respiro nazionale? Al Nord ha vinto lo spirito anti-europeista da un lato e anti-immigrazione dall’altro,mentre al Sud ha vinto la prospettiva dell’assistenzialismo: i partiti tradizionali hanno assecondato questo processo populista con promesse irrealizzabili e ora abbiamo a che fare con dei giamburrasca impreparati .Occorre una profonda ricostruzione del sistema politico italiano: il centrodestra e il centrosinistra – così come li abbiamo conosciuti – non esistono più. Ma d’altronde erano ultimamente una finzione, privi di una solida cultura e visione politica alla loro base. La partita, ora, è nelle mani del Capo dello Stato che potrà fare affidamento sulle procedure e sui protocolli previsti dal nostro sistema costituzionale. Sulla base dei dati finora disponibili, comunque, la soluzione più probabile può essere solo un governo del Presidente. Siamo sempre con Lei Presidente!
Presidente Mattarella 2:lasciatelo lavorare
Alessandra Servidori Presidente Mattarella 2 : lasciatelo lavorare
Una domenica strana, è come quella atmosfera che prepara il temporale :inquieta e dolorante. Siamo nelle mani del Presidente Mattarella dopo quelle consultazioni ridicole di attori politici che non hanno a cuore il bene della nostra bell’Italia. Il giorno in cui Bruxelles ci sta giustamente preparando la sanzione per le bugie dette sia sul salvataggio delle banche popolari e di MPS sia per Alitalia,risorse impiegate dagli spergiuri che hanno detto,mentendo, che NON erano aiuti di Stato, siamo molto preoccupati dell’acuirsi delle tensioni internazionali in aree vicine all’Italia, a cominciare dalla Siria dove i bombardamenti nell’alba hanno infuocato le immagini che ci sono arrivate,chiare e terribili.Noi siamo in balia di partiti e movimenti che non considerano la situazione delicatissima delle scadenze importanti e imminenti dell’Unione Europea, i contrasti nel commercio internazionale. E la nostra congiuntura economica, che rischia di invertire il trend positivo avuto fin qui :la Banca d’Italia ha certificato che l’economia ha rallentato il ritmo nei primi mesi di quest’anno, accentuando una tendenza a frenare che era già iniziata a fine 2017: la produzione industriale ha dato segnali preoccupanti, e il pil nel primo trimestre cresce ancora, ma meno di un anno fa. La spinta è rallentata rispetto al 2017, anche se non ancora tale da mettere a rischio la crescita,ma i timori sono più che giustificati anche in considerazione della situazione internazionale, caratterizzata dalle tensioni sul commercio globale scatenate dai dazi imposti da Trump e dal pericolo che Usa e Russia si misurino sul piano militare nel drammatico scenario siriano. Tutta l’economia europea, Germania compresa, si sta lasciando alle spalle il picco di crescita e , complice l’imminente uscita del Regno Unito dalla Ue, il secondo semestre dell’anno può riservare brutte sorprese a tutta l’eurozona. Fino ad ora Mario Draghi ci ha sostenuto ma il rialzo dei tassi per la programmata fine della politica monetaria accomodante da parte della Bce, peserà sui conti pubblici su cui già gravano le cosiddette “clausole di salvaguardia” Ue (nel caso aumenterebbe l’Iva nel 2019) e la necessità di una manovra correttiva per gli scostamenti già registrati nel 2018.E noi siamo senza governo e abbiamo già un problema grave perché i principali gestori di fondi internazionali hanno da tempo lasciato capire che c’è il rischio che i nostri titoli di Stato possano essere svenduti con l’avvicinarsi del momento in cui la Bce cesserà di acquistarli e dunque proteggerli. Dunque il Presidente Mattarella cerca di dare vita ad un governo che persegua la crescita senza tralasciare il risanamento della finanza pubblica, e rispetti i parametri europei su deficit e debito oppure sappia proporre riforme così radicali e innovative da negoziare con credibilità una loro modifica virtuosa a Bruxelles.Siamo con Lei Presidente.
Lasciate lavorare Mattarella
Alessandra Servidori Lasciate lavorare il Presidente Mattarella
Il Presidente Mattarella, sta lavorando: per favore non disturbiamolo. Ai partiti rissosi ,inconcludenti e bulimici di potere deve chiedere un patto d’acciaio, che metta ordine nel possibile futuro del nostro Paese.I problemi che pesano come macigni sulla nostra pelle e la viltà della classe dirigente e non solo quella politica, che cerca di mascherare le sue responsabilità con veti demenziali sono uno spettacolo avvilente. Bisogna chiarire che i vincoli di una sovranità sovranazionale europea, avvertita sempre di più come nemica dei cittadini italiani come realtà che ci umilia e ci impoverisce, sono la nostra ancora. E invece L’Europa con le sue regole di economia di mercato e di lavoro,lo sviluppo di una integrazione equilibrata e la solidarietà atlantica è la nostra risorsa più forte e con tutti problemi che abbiamo nel momento in cui non esprimiamo autorevoli esponenti politici e non resettiamo l’apparato burocratico non possiamo competere sul contesto internazionale. L’Europa si può migliorare certo,ma la responsabilità di aver ceduto i nostri gioielli di famiglia e le nostre partecipazioni in società come Eni ,Enel ,Poste italiane , l’uso spavaldo di Cassa Depositi e prestiti come sussidio agli azionisti Telecom, come sembra ora essere di nuovo la cassaforte del debito pubblico , e i soldi ricavati dalle privatizzazioni sono stati usati per aumentare la spesa dello Stato e alla fine il debito è cresciuto. Ma i proventi dovevano servire a tagliare il debito non ad accrescere la spesa e comunque i mostri come le municipalizzate sono ancora lì che succhiano soldi. E sul versante del lavoro deve diventare primario il piano nazionale Industria 4.0 del Governo italiano affrontato da un punto di vista lavoristico, oggi lasciato ai margini di un dibattito pubblico e anche scientifico ancora tutto concentrato sui fattori tecnologici abilitanti e sulle risorse economiche necessarie per la sua implementazione. La prospettiva lavoristica consente infatti di comprendere le profonde novità che il nascente paradigma di Industria 4.0 può introdurre nei mercati del lavoro (interni ed esterni all’ impresa), nelle relazioni industriali e in generale nell’idea stessa di lavoro e di fare impresa contribuendo ad evidenziare come anche le regole del lavoro e le politiche attive possano diventare fattori abilitanti dei nuovi processi produttivi. Attraverso l’individuazione delle principali sfide che si pone a lavoratori e imprese – dalla crisi della subordinazione giuridica, al rinnovato ruolo delle competenze, dal rischio di disoccupazione tecnologica, alle nuove relazioni industriali di prossimità e di tipo partecipativo – bisogna approfondire quali possono essere le leve di azioni e gli ambiti di riflessione per governare il cambiamento in atto mettendo al centro la persona che lavora e non la tecnologia con cui si lavorerà in futuro. È solo in questa prospettiva, che può farsi largo e affermarsi una rinnovata consapevolezza della funzione storica e politica di quel ramo dell’ordinamento giuridico ricondotto sotto l’espressione “diritto del lavoro” non solo come diritto distributivo di tutele e risorse ma anche, e prima ancora, come diritto della produzione. Un ramo dell’ordinamento giuridico dunque non necessariamente destinato a scomparire col superamento del paradigma fordista, ma semmai a rinnovarsi per abilitare ed equilibrare, in termini di giustizia sociale, il nuovo modello produttivo sotteso a Industria 4.0.Presidente, chieda patti chiari: siamo con Lei.
La prevenzione,la salute e la sicurezza sul lavoro e anche questione di genere femminile
Alessandra Servidori
La prevenzione la salute e la sicurezza sul lavoro è anche una questione di genere
Gli incidenti sul lavoro di questi ultimi giorni , in aumento rispetto anche all’anno passato,riportano all’attualità un problema non risolto in Italia nonostante la ricca normativa in merito e le lavoratrici risultano le più penalizzate soprattutto nel tragitto casa lavoro , nella frequenza dei corsi di prevenzione e nella predisposizione per loro di attrezzi adeguati come camici ,zoccoli, caschi, guanti, strumenti di tutor ecc a misura femminile che non vengono adeguatamente predisposti. Con l’emanazione del D.Lgs. 81/08 si era introdotta una concezione nuova di salute e sicurezza sul lavoro, non più ”neutra” ma in grado di considerare le “differenze di genere” in relazione alla valutazione del rischio e alla predisposizione delle misure di prevenzione. Nella norma viene sottolineato come la probabilità che si produca un’alterazione dello stato di salute non dipende solamente dalla natura e dall'entità dell’esposizione ma anche dalle condizioni di reattività degli esposti. Vengono così individuate delle categorie di lavoratori che potrebbero essere maggiormente suscettibili ai rischi lavorativi in base ad alcuni fattori quali l’età, il sesso, l’origine etnica, la posizione contrattuale e le disabilità. Inoltre il D.Lgs. 81/08 - in ampliamento al D.Lgs 626/94 - prende in considerazione gli aspetti organizzativi associati allo svolgimento dell'attività lavorativa, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavoro-correlato.
A fronte di una legge che stabilisce la tutela della salute nei luoghi di lavoro orientata al genere, le indicazioni richiamate nel D.Lgs 81 non sempre risultano di facile applicazione. La prima difficoltà nell’applicazione del D.Lgs 81 è ancora oggi data dalla mancanza di metodi standardizzati che tengano conto dell’approccio di genere per valutare il rischio occupazionale - secondo il classico schema che prevede l’identificazione dei pericoli e le misure da adottare per prevenire il danno.
L’approccio di genere dovrebbe prendere in considerazione diversi fattori che didatticamente vengono ripartiti in due gruppi, definiti “sesso” e “genere” (purtroppo la ridondanza del termine crea molta confusione). Il “sesso” si riferisce alle differenze biologiche (anatomiche, ormonali e fisiologiche) che contraddistinguono l’essere maschio o femmina. Il “genere” si riferisce alla costruzione sociale della mascolinità e della femminilità riferendosi a tutti i condizionamenti socio-culturali che portano a definire ruoli lavorativi, sociali e familiari diversi per uomini e donne.
Nella ridondante ancora oggi Commissione di cui fanno parte un numero infinito di parti sociali prevista dal dlgs 81/2008 si sarebbero dovuti inserire i fattori inerenti al “sesso” e “genere” nella valutazione del rischio occupazionale, che però ancora oggi tranne alcuni cenni nei disciplinari della valutazione, sono ancora clamorosamente disattesi. Alcune interessanti indicazioni vengono dalla medicina di genere che associa le diverse caratteristiche biologiche - maschili e femminili - agli effetti diversi osservati in lavoratori e lavoratrici, parimenti esposti ai rischi “specifici” - chimico, fisico, biologico, ergonomico, e di sovraccarico muscolo-scheletrico. Per esempio, tra uomini e donne esistono numerose differenze nell’assorbimento, nel metabolismo e nell’eliminazione degli agenti chimici che, a parità di esposizione, possono modificare il rapporto dose/effetto, diversamente conosciuto come “soglia di esposizione”. I limiti espositivi sono stati finora elaborati in modalità “neutra” e sebbene siano cautelativi - molto al di sotto della dose in grado di indurre danni - non rappresentano soglie universalmente valide, potendo variare in base al sesso, a fattori genetici e agli stili di vita. In Emilia Romagna abbiamo dato vita ad un tavolo interistituzionale molto attivo che ha come obiettivo proposte per prevenire le malattie professionali e ha già elaborato con successo due strumenti che vengono distribuiti gratuitamente in tutti posti di lavoro che consistono in due guide sulla prevenzione delle patologie oncologiche,ingravescenti,invalidanti e sui diritti per i caregiver familiari e stiamo affrontando gli agenti che possono sul luogo di lavoro creare patologie ancora non riconosciute dall’inail come indenizzabili.Ovviamente un occhio particolare è dedicato alle lavoratrici e ai lavoratori e alle loro famiglie sulla legislazione operante e sui diritti e i doveri che bisogna conoscere(www.tutteperitalia.it) Ancora molto molto difficile risulta valutare il rischio occupazionale in ottica di genere per gli aspetti organizzativi e sociali - a cui non è ancora stato possibile attribuire caratteristiche riconoscibili e quantizzabili di pericolo. Un esempio in tal senso è quello relativo alla segregazione occupazionale che definisce l’occupazione non in base alle attitudini dell’individuo, bensì al sesso di appartenenza. Ancora molti settori lavorativi presentano un’occupazione prevalentemente femminile o maschile - segregazione orizzontale - e, all’interno di uno stesso settore, spesso le mansioni affidate alle donne differiscono da quelle affidate agli uomini - segregazione verticale - con le donne maggiormente presenti in occupazioni precarie, ruoli subordinati e con retribuzione inferiore a quella maschile come dimostrano i recentissimi dati di Banca Italia. Questo fenomeno, oltre ad essere socialmente iniquo, potrebbe modificare la valutazione del rischio occupazionale. Purtroppo, ancora oggi, stereotipi sociali rallentano la consapevolezza riguardo la segregazione occupazionale, e limitano l’applicazione corretta del D.Lgs. 81/08.Altro aspetto organizzativo che dovrebbe essere considerato riguarda il lavoro domestico e di cura familiare, spesso sbilanciato tra il genere femminile e maschile, creando, per le donne, un doppio carico lavorativo che, in Italia, sopperisce all’assenza di un idoneo sistema di welfare. Quando le richieste lavorative eccedono le capacità individuali di risoluzione, lo squilibrio avvertito dal lavoratore/lavoratrice può generare il cosiddetto “stress lavoro correlato” che può indurre uno stato di malattia sia psichico che fisio-patologico. Tuttavia, la non specificità delle patologie stress-correlate rende ancora difficile stabilire un nesso casuale tra lo “stress” e lo stato di malattia. Risulta evidente che i presupposti metodologici in uso per promuovere la salute e la sicurezza occupazionale necessitino di un’ampia revisione critica per promuovere l’equità di genere e soprattutto sensibilizzare le aziende nell’investire risorse adeguate per la prevenzione come le Direttive europee ci indicano e lo stesso OIL promuove con quel vigore che noi non riusciamo responsabilmente assumere.
Buona Pasqua?in verità siamo poco sereni
Alessandra Servidori Facciamo il punto perché c’è da stare poco sereni
In queste ore si sono scatenati gli auguri di una buona Pasqua serena : ma come si fa a stare sereni con tutto il marasma economico e finanziario che stiamo vivendo e su cui il popolo italiano è ben poco attenzionato? Complici anche i talk show in cui tutti si urlano improperie e difficilmente viene fuori la verità. Allora mi sento di fare una azione positiva dimenticandomi le raccomandazioni che un ex ministro mi faceva sovente quando lavorando al suo fianco come tecnica mi zittiva dicendomi : “No questa proposta no perché politicamente non accettabile”.Ecco appunto per me i conti prima di tutto per la politica invece no. Allora è necessario dire agli italiani che i corvi della speculazione economica volteggiano sullo stivale : poche ore fa una delle più grandi società finanziarie del mondo, l’americana Blackrock, ha suggerito agli investitori di stare lontani dai titoli di stato italiani. È il primo cenno che indica come i mercati siano pronti ad una nuova guerra speculativa. Bruxelles, ci ha detto senza troppi convenevoli due cose: dovete fare il DEF (il documento previsionale di economia e finanza) entro la data prestabilita, perché la scadenza del 30 aprile è “obbligatoria” e non facoltativa o, peggio, indicativa; ricordatevi che c’è uno scarto nei conti 2018 rispetto a quanto previsto nella manovra di bilancio presentata dal governo Gentiloni a fine 2017 (mancano all’appello circa 5 miliardi) e dunque andrà fatta una manovra correttiva, così come dovete avere ben chiaro a saldi invariati per il 2019 occorrono 25 miliardi, se non volete che scattino le clausole di salvaguardia cioè l’aumento dell’Iva, altrochè flat tax ,e reddito di cittadinanza e abolizione della legge Fornero che solo lei costerebbe 100 miliardi..Totale dunque a bocce ferme 30 miliardi e i mercati finanziari basano le loro valutazioni sulle intenzioni dei governi e aspettano di vedere se e quando ci sarà un governo italiano e il programma .La questione più importante poi a livello europeo è che tutti i Paesi dell’area Spagna, Francia,per ultimi sono rientrati nel vincolo ue del 3% ovvero nelle sbarre della gabbia che Lega e non solo vogliono sforare popularisticamente, così cacciandosi fuori dall’eurotendenza che invece rivede tutte le nazioni rientrare nelle braccia europee e se si apre una procedura per disavanzo eccessivo saremmo isolati e presi di mira.Dunque le scadenze vanno onorate e subito : a ottobre la legge finanziaria , entro fine anno si arriverà a un accordo in sede eu discusso da Ecofin e dal Consiglio sulla riforma delle istituzioni finanziarie e l’Unione bancaria e per l’Italia è importante avere una posizione certa e solida rappresentativa degli interessi del Paese : dunque il pericolo di una asta dei titoli pubblici o una Borsa debole ci massacrerebbe. Allora il Presidente deve proporre di fare un governo partendo dalla condivisione di alcune scelte programmatiche, e non da accordi politici cui poi far seguire un programma. E siccome tutte le scelte fondamentali sono economiche o ricadono sul terreno della finanza pubblica, tanto vale iniziare subito..Dicano tutti mercoledì cosa andrebbe scritto nel documento di programmazione economica, e su quei pronunciamenti si tenti di costruire le necessarie alleanze di governo. La coperta è cortissima e i margini di manovra, salvo voler fare la fine della Grecia, non ci sono. Si prenderà atto che la distanza che separa ciò che si può e si deve fare con ciò che si è raccontato agli italiani in vista del voto è talmente siderale e vergognosa da richiedere un concorso solidale di tutte le forze. Si scoprirà, cioè, che nessuna delle combinazioni di cui si blatera nei talk show che sono teoricamente disponibili a far sì che qualcuno formi una maggioranza di governo e qualcun altro l’opposizione, sono davvero praticabile. Il presidente Mattarella dovra’ prendere seriamente in considerazione, un governo di unità nazionale, con tutti dentro. Che politicamente avrebbe il vantaggio di evitare alleanze dirette considerate scomode per tutti i partiti vittime consapevoli dei veti incrociati, e sul piano delle opzioni programmatiche, in particolare della politica economica, consentirebbe di condividere l’onere di scelte difficili e sicuramente lontane dalle promesse affidate alla propaganda elettorale. Dunque c’è da stare poco sereni.