Nuova professionalità e fondi UE
NUOVA PROFESSIONALITA’
a cura di Alessandra Servidori LA SCUOLA BRESCIA Aprile 2020
Fondi europei: cogliere l’occasione per migliorare nelle pari opportunità
Il Nuovo Parlamento il 18 febbraio ha iniziato a discutere le linee guida dei fondi e in questa fase della politica europea il bilancio dell’Unione è importantissimo. Non è solo una questione di soldi. Un bilancio pari a grossomodo l’1% del prodotto lordo complessivo vale molto in termini di solidarietà tra gli Stati membri e tra i territori, di promozione degli obiettivi strategici dell’Unione europea che hanno a che fare con la crescita, la competitività, lo sviluppo tecnologico, con il ruolo della Ue a livello globale. Ma vale poco in rapporto a quanto sarebbe necessario per farne una leva potente per raggiungere quegli stessi obiettivi. Per fare un solo esempio: la spesa pubblica complessiva degli Stati membri è circa 50 volte più alta del bilancio Ue. A fronte di una moneta unica effettivamente “federale”, non esiste un bilancio corrispondente. La politica fiscale resta strettamente nei poteri degli Stati e non è alle viste un cambiamento. Ciò nonostante, la proposta di bilancio europeo per gli anni 2021-2027 avanzata dalla Commissione richiederà un durissimo negoziato tra gli Stati membri sulle sue dimensioni quantitative, sulla sua ripartizione, sugli obiettivi che dovrà finanziare. Questo perché il bilancio rappresenta fedelmente il compromesso politico tra gli “azionisti” dell’Unione europea e, contemporaneamente, riflette il compromesso politico che ogni governo vuole (o riesce) a definire a livello nazionale. Privilegiare i pagamenti diretti agli agricoltori o privilegiare i settori tecnologicamente avanzati non è la stessa cosa per nessun Paese. Oppure, questione centrale delle prossime “prospettive finanziarie pluriennali”, privilegiare gli investimenti per gestire le migrazioni o rafforzare la sicurezza europea. Si tratta, dunque, di un appuntamento rilevante per la politica quanto per l’economia europee, soprattutto in un momento in cui, da un lato, è sempre forte la tendenza alla ri-nazionalizzazione di molte politiche Ue sulla spinta del populismo e dell’euroscetticismo nella maggior parte degli Stati (che in Italia si sono fatti governo); dall’altro lato, l’economia europea manca di un supporto, ma tutto sommato anche di una strategia condivisa, per uscire dalle secche della bassa crescita. Tale è il contesto in cui si collocano le scelte per la politica regionale attuata attraverso tre fondi principali: Fondo di sviluppo regionale, Fondo di coesione e Fondo sociale. Un ‘capitolo’ che equivale grossomodo a un terzo del bilancio europeo e agisce da catalizzatore di altri finanziamenti pubblici e capitali privati. La politica di coesione sociale, economica e territoriale, questa la definizione dei Trattati Ue, resta la “spina dorsale” dell’integrazione europea. E oggi che l’integrazione non è ancora completata, che al divario classico tra Nord e Sud sulle politiche economiche e di bilancio si è affiancata la profonda divisione tra Est e Ovest sul concetto e sulla pratica della solidarietà, che le disparità sociali e territoriali minano la coesione anche politica dell’Unione, il suo ruolo è ancora più importante. Per due motivi: perché rimanda al livello di condivisione degli obiettivi strategici della Ue da parte degli Stati membri, livello oggi assai basso e sottoposto a forti attacchi; e perché, con la Brexit, si è aperto un buco finanziario difficile da colmare. Le scelte per la coesione, dalle quali in termini quantitativi l’Italia, in ogni caso, esce bene stando alla proposta comunitaria, rimandano poi all’equilibrio tra il “centro”, cioè Bruxelles, e gli Stati e tra questi ultimi e le loro articolazioni, cioè Regioni e comunità territoriali. E rimandano all’equilibrio tra i diversi ambiti dell’economia e della società europee, in primo luogo alla scelta di quali sono gli obiettivi e i settori da privilegiare o, in parte, da sacrificare vista la ristrettezza delle risorse comuni. Per non parlare dell’importanza del legame tra equilibrio macroeconomico di un paese e del rispetto delle relative regole europee, con l’uso dei fondi europei, legame che la Commissione propone di intensificare ulteriormente. Un tema che resta molto controverso. A seconda delle quantità in gioco e del livello al quale sono collocati i poteri di decisione, la politica di coesione può essere l’asse sul quale poggia il sostegno alla crescita e forse anche la governance economica, oppure uno strumento più o meno perfettamente allineato agli obiettivi di equilibrio finanziario generale. Ce n’è quanto basta per capire perchè il negoziato sul bilancio tra gli Stati membri, con il Parlamento europeo e all’interno degli stessi Stati, è tutto in salita. Ricordiamo che la materia vastissima riguarda i Fondi europei FESR e FSE, nonché la Cooperazione territoriale europea (CTE) e il Fondo sviluppo e coesione (FSC). Per la Nuova tornata 2021/2027 L’Italia in sede di negoziazione ha rappresentato l’ampia diversità geografica che contraddistingue il paese e la necessità di interventi tenendo conto delle caratteristiche tipiche delle regioni italiane, diverse per conformazione e collocazione geografica. La proposta è quella di “strategie territoriali attuate in sinergia con gli altri obiettivi politici, con il fine primario di promuovere lo sviluppo economico e sociale delle zone più colpite dalla povertà”.Ma c’è un particolare sforzo che i tecnici della Commissione chiedono all’Italia per vederla maggiormente competitiva in ambito Europeo e riguarda una maggiore incisività che l’Italia è chiamata a dimostrare sui temi cardini dei fondi strutturali europei 2021-2027 ossia la ricerca e l’innovazione; il clima e l’energia; la connettività; i diritti sociali.La novità importante per la condizione femminile è che il progetto di parere agli orientamenti per il bilancio 2021 prevede l'uso del bilancio di genere nell'UE. Chiede inoltre di attuare l'integrazione di genere in modo coerente in tutti i programmi dell'UE. Il progetto di parere, il cui relatore è Robert Biedroń (S&D, Polonia), chiede maggiori investimenti per sostenere i diritti delle donne e delle ragazze che utilizzano le dotazioni di bilancio per sostenere l'indipendenza economica delle donne attraverso programmi e fondi dell'UE, come COSME, Orizzonte 2020 e il EFSI. Il relatore ritiene che siano necessari maggiori sforzi per sostenere le donne più vulnerabili. Il progetto di parere chiede inoltre che vengano tracciate le spese per la parità di genere e che siano stabiliti indicatori adeguati e una metodologia dedicata, in particolare per quanto riguarda la lotta contro la discriminazione basata sul genere, la violenza, le molestie sessuali e l'accesso delle donne alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi . L’integrazione non è un obiettivo di per sé bensì un mezzo per raggiungere il traguardo finale dell’uguaglianza. In relazione all’occupazione, l’uguaglianza implica l’integrazione della parità, della non discriminazione e della diversità basate sull’età, su eventuali disabilità, sul genere, sulla razza, sulla religione e sull’orientamento sessuale in tutte le pratiche di selezione, retribuzione, promozione, sviluppo e formazione, e così via. Nonostante i progressi compiuti, in Europa sussistono delle differenze nello stato occupazionale legate a variabili inerenti all’integrazione dell’uguaglianza. Secondo i dati Eurostat relativi al 2019, il tasso di occupazione tra gli uomini è superiore (59,5%) rispetto a quello tra le donne (46,1%). Nel 2019, nei 27 Stati Membri dell’UE le donne hanno percepito una retribuzione economica inferiore del 17,6% rispetto a quella degli uomini. Le stesse statistiche indicano che il tasso di disoccupazione tra gli stranieri è pari al 16,3% a fronte dell’8,3% tra i cittadini nazionali. In un tale contesto, il principio di uguaglianza è stato attuato a livello nazionale o regionale principalmente in tre modi: promuovendo l’uguaglianza come competenza specifica tramite numerose misure positive e proattive e la sua integrazione nelle leggi. Un esempio di un approccio virtuoso è giunto dalla Scozia già dal 2002 e ha portato ottimi risultati. In Scozia, a partire dal 2002, è stato assunto un Consulente nazionale sulle pari opportunità che ha lavorato a stretto contatto con i cinque dirigenti scozzesi del Programma di gestione dirigenti (PME, Programme Management Executives) per fornire sostegno e assistenza nell’integrazione delle pari opportunità nei programmi dei Fondi strutturali. Le competenze del consulente comprendevano tra l’altro: ® analisi della prassi attuale in materia di integrazione delle pari opportunità nei programmi dei Fondi strutturali e condivisione delle esperienze all’interno dei programmi e in modo trasversale tra gli stessi; ® analisi dei sistemi impiegati dai PME per monitorare le pari opportunità e suggerire miglioramenti da apportare agli stessi; ® definizione delle modalità volte a favorire la realizzazione di azioni positive; e ® identificazione e divulgazione di buone pratiche di integrazione adottate da altri Stati Membri implementabili anche nei programmi scozzesi Gli interventi finanziati dal FSE nei vari paesi relativi all’integrazione dell’uguaglianza hanno interessato principalmente i seguenti gruppi vulnerabili: Rom, migranti, minoranze, soggetti diversamente abili o che abbiano abbandonato precocemente la scuola e lavoratori anziani. Le iniziative si sono incentrate in generale sulle aree dell’inclusione sociale con enfasi sulla dimensione dell’occupazione, sull’integrazione di genere e sulla non discriminazione. Delle azioni specifiche hanno interessato la formazione e/o l’istruzione mirata a migliorare le competenze, i servizi di consulenza e orientamento, tra cui affiancamento e piani di reintegro, il sostegno alla creazione di imprese e attività mirate a impedire l’abbandono scolastico precoce. Passi avanti dunque sicuramente in Scozia,ma, anche se modesti nel resto d’Europa,e l’importante è proseguire tenacemente e per noi italiani puntare sulle priorità che rimangono comunque l’occupabilità femminile e giovanile.
ALESSANDRA SERVIDORI UNIMORE