1 ottobre PAPA FRANCESCO a BOLOGNA: il lavoro prima di tutto
1 ottobre Papa Francesco a Bologna : il lavoro prima di tutto e per tutti
Alessandra Servidori
Il Papa è arrivato sotto le due torri in una giornata di pioggia tenace e molesta, ma siamo in moltissimi ad accoglierlo. E prima sul sagrato di San Petronio e poi per noi insegnanti in San Domenico l’argomento principale è stato il lavoro. Bisogna trovare il metodo per riparare l’ascensore sociale che sembra rotto, per rinnovare la grande tradizione di laboriosità e di cooperazione solidaristica di queste terre e per un’economia che abbia al centro l’uomo e l’impegno e anche la nostra scelta deve essere quella di comprometterci e di sacrificarci per non deludere coloro che cercano lavoro e i giovani che studiano con la speranza di potersi costruire un progetto di vita. Il Papa ha affrontato senza preamboli il tema del lavoro e soprattutto quello della sua espressione negativa, “cioè la situazione difficile, a volte angosciante, della mancanza di lavoro e l’esigenza di dialogo tra le parti sociali”. “Cercate di portare avanti”, ha esortato, “ soluzioni stabili e capaci di aiutare a guardare al futuro per rispondere alle necessità delle persone e delle famiglie” Francesco ha esortato a non piegare mai la solidarietà alla logica del profitto, perché “cercare una società più giusta non è un sogno del passato ma un impegno”, “L’accoglienza e la lotta alla povertà passano in gran parte attraverso il lavoro”, ha ribadito, “non si offre vero aiuto ai poveri senza che possano trovare lavoro e dignità”. E ancora “il recente “Patto per il lavoro” che ha visto tutte le parti sociali e anche la Chiesa firmare un comune impegno per aiutarsi nella ricerca di risposte stabili, non di elemosine, è un metodo importante che auspico possa dare i risultati sperati”. La crisi economica attuale e anche “crisi etica, spirituale e umana”, ha sottolineato vi è la necessità di “togliere centralità alla legge del profitto e assegnarla alla persona e al bene comune”.San Petronio, “Pater et Protector”, è sempre raffigurato con nelle mani la città. Chiesa, Comune e Università sono gli “aspetti costitutivi” di Bologna. “Quando essi dialogano e collaborano tra loro, si rafforza il prezioso umanesimo che essi esprimono e la città respira, ha un orizzonte”, ha ammonito, “vi incoraggio a valorizzare questo umanesimo di cui siete depositari per cercare soluzioni sapienti e lungimiranti ai complessi problemi del nostro tempo, vedendoli sì come difficoltà ma anche come opportunità di crescita e di miglioramento”.
Malattie professionali. ecco la guida amichevole
Alessandra Servidori 27 settembre 2017
Continua il nostro impegno per le donne egli uomini e le loro famiglie che incontrano la malattia .Ecco la Guida amichevole che abbiamo preparato con una partnership veramente straordinaria e che diffondiamo su tutto il territorio nazionale sempre dalla parte delle persone e del lavoro , che rappresenta una condizione indispensabile per la dignità e la qualità di vita.
WORD CANCER DAY- TUTTEPERITALIA-NOITUTTIPERBOLOGNA-CESLAR UNIMORE-COMUNE di BOLOGNA- ISTITUTO RAMAZZINI--INPS-INAIL- CGIL/Cdlm Bologna- CISL Bologna area metropolitana- UIL Bologna E/R-
Patologie oncologiche,invalidanti,ingravescenti e malattie professionali.Quello che è importante saper per le famiglie,per le lavoratrici e i lavoratori -QUESTA Guida amichevole intende fornire aggiornate e utili informazioni a chi nel proprio percorso di vita si è imbattuto nella malattia tumorale, per potersi orientare con consapevolezza sulle possibilità esistenti di esercizio dei propri diritti e affrontare così meno faticosamente il delicato momento familiare e professionale. Nel momento attuale di sempre maggiore complessità, questo strumento vuol orientare circa i percorsi da compiere quando si incontra la malattia oncologica e invalidante, nel complessivo assetto sanitario, assistenziale, previdenziale: nella convinzione piena che “Insieme è meglio”, questo risultato è stato ottenuto grazie alla proficua collaborazione di territorio, Istituzioni, Associazioni- potete scaricarla sul sito
Legge elettorale : rose con molte spine
Alessandra Servidori . Rose con molte spine : un testo da maneggiare con precauzione.
24 settembre 2017
Per cercare di capire la proposta di legge elettorale depositata .La Commissione Affari Costituzionali della Camera voterà martedì prossimo per l’adozione del nuovo testo base della legge elettorale presentato dal relatore Fiano,il giorno successivo, mercoledì 27 alle 17, è stato fissato il termine per presentare gli emendamenti. La proposta di riforma è identica per le 2 Camere.
L’articolo 1 si riferisce alla Camera dei deputati. L’elettore dà un voto unico che vale per una lista proporzionale bloccata corta in una circoscrizione plurinominale e per il candidato nel collegio uninominale. Se più liste sono collegate in una coalizione ad un medesimo candidato uninominale e l’elettore vota solo il candidato nel collegio, i voti così espressi sono spalmati pro quota tra le liste proporzionali secondo le opzioni già espresse dagli altri elettori (ad es. se 9 elettori votano solo il candidato e ci sono due liste collegate, di cui la prima col doppio dei voti della seconda, 6 voti si spalmano sulla prima e 3 sulla seconda). Le coalizioni devono essere omogenee sul piano nazionale. Nei 232 collegi (225 in 18 regioni, 1 in Val d’Aosta e 6 in Trentino Alto Adige) è eletto il candidato che arriva primo. 12 sono eletti come sempre nei collegi esteri. I restanti 386 seggi sono attribuiti con la proporzionale, metodo del quoziente: gli sbarramenti sono del 10% per le coalizioni e del 3% per le liste, nonché del 20% regionale (o due collegi vinti) per le liste delle minoranze linguistiche.
L’articolo 2 stabilisce un identico sistema per il Senato, dove i collegi saranno 109 (102 in 18 regioni, 1 in Val d’Aosta e 6 in Trentino Alto Adige). 6 sono gli eletti all’estero. I restanti 200 sono eletti con la proporzionale.
L’articolo 3 dà una rapida delega per il ritaglio di collegi e circoscrizioni.
Dal punto di vista della rappresentanza il sistema sarebbe migliorativo perché adotterebbe le soluzioni europee (liste bloccate corte e collegi uninominali maggioritari) invece dell’anomalia italiana, tra le grandi democrazie, del voto di preferenza. Nel nuovo testo sono presenti quote di genere. In ogni coalizione nessuno dei due generi può superare la quota del 60% nei collegi uninominali a livello nazionale. La stessa quota è prevista per i partiti per ciò che riguarda i nomi dei listini proporzionali. Il punto positivo è che se passasse la riforma avremmo norme di garanzia di genere anche al Senato, mentre mancano nel testo ora vigente. Il vero problema è però che nei collegi maggioritari uninominali e nei listini bloccati nel proporzionale il 40/60 non garantisce: alle donne potrebbero essere assegnati solo collegi dati per perdenti e nel listino le candidate potrebbero finire in coda. La proposta lascia carta bianca ai partiti nella “nomina” di quelli che dovrebbero essere democraticamente eletti per rappresentare il Paese e dal punto di vista della governabilità i problemi rimarrebbero poiché se le opzioni degli elettori restano frammentate, senza una lista o coalizione che superi il 40%, dalle urne non uscirà nessun vincitore e si cercherà di comporre difficili coalizioni post-elettorali con ruolo rilevante della Presidenza della Repubblica. L’unica differenza è che si inserisce un limitato correttivo maggioritario legato ai collegi, mentre nelle leggi vigenti la disproporzionalità era solo dovuta allo sbarramento e alla soglia del 40%, difficilmente raggiungibile, per accedere al premio alla Camera.
Sono sparite le preferenze dal testo e sono 173 i giorni che mancano alla scadenza naturale della legislatura(15 marzo 2018). Sulle possibilità che venga approvata si hanno molti dubbi .
MERKEL REGINA D'EUROPA
Alessandra Servidori Germania al voto : MERKEL Cancelliera regina d’Europa - 23 settembre 2017
Angela Merkel è l’ultimo vero leader democratico rimasto sulla faccia del mondo tra il nazionalismo nefasto di Trump- che non ha voluto stringerle la mano- e il populismo arrogante di Putin che credeva di farle paura scatenandogli un cane contro. Li ha superati tutti Merkel con i suoi dodici anni al potere aspirando oggi legittimamente a governare per altri 4 anni la Germania: ha stretto la mano da” capo” a Bush,Obama ,Blair,Cameron, Sarkozj ,Hollande,forte del suo carattere deciso ma calmo come il suo cognome che in tedesco merkel significa “ritardo”. Nel 2011 è stata insignita della medaglia presidenziale a Washington ma nel 2017 Trump sfida la sua ragionevolezza contrapponendole all’apertura del commercio internazionale la chiusura netta e la contrapposizione alla Nato e agli accordi di Parigi sul clima. La signora Merkel genera tutt’ora molte speranza al di là dei confini tedeschi : questa condottiera priva di vanità in un incontro a Berlino la sentii affermare parole straordinarie :” In presenza di uomini autoritari e vanitosi provo una repulsione fisica e mi viene voglia di sedermi lontano”. Nata nella Germania dell’Est in un paesino dove ancora oggi le scritte stradali sono in cirillico, ha una grande forza di volontà,intelligenza e ambizione incardinata sulla consapevolezza di quanto poteva e sapeva fare, con un umorismo naturale,allergica alle lusinghe con un team di lavoro composto da parecchie signore,Merkel si candida per il quarto mandato con una formazione in Fisica,la libertà e la dignità umana come capisaldi della sua missione: prima ministro di Kohl per le politiche femminili e giovanili, poi ministro dell’Ambiente e dal 1999 Capo della Germania democratica. Ora rispedisce in patria i migranti se i loro paesi non sono più considerati pericolosi,firma patti con la Turchia, depotenzia il partito di estrema destra sceso al 9%,ha portato la Germania ad una disoccupazione minima,il sistema economico e bancario che regge,anzi traina la ripresa europea:lei resiste,osserva,ascolta,non racconta nulla di sé,lavora moltissimo e non dà mai nulla per scontato.
UN SUPER MINISTRO ECONOMICO UE?
Alessandra Servidori Un super ministro per l’economia europea ? 19 settembre 2017
A parole sono d’accordo in molti dei 27 della ue ma la tensione che c’è nell’aria è tantissima . I problemi sono per ordine di grandezza : che nazionalità avrà il privilegio di dare i natali al super ministro , a chi deve fare capo ( al Consiglio,alla Commissione, al Parlamento ) di cosa si deve occupare ( di finanza, di economia , di politica economica estera, dell Eurogruppo,della moneta unica , di un possibile Fondo monetario ,dei bilanci pubblici dei componenti della ue ?) In buona sostanza tante idee poche condivise ma soprattutto molto moltissimo dipenderà dalla conferma di Merkel fortissima Cancelliera tedesca – la cui rinomina è quasi scontata- che è ben consapevole del passaggio strettissimo che l’economia europea sta ancora traversando e un ministro in comune dovrebbe comunque fare i conti con problemi di bilanci ancora sofferenti soprattutto in materia di lavoro. Nella corsa che già sta scaldando i motori per il 2019 quando ci saranno le elezioni europee entreranno a gamba tesa le candidature alla BCE ,al Fondo Monetario e l’unica che in questo momento può vantare una certa forza è la Germania con i suoi dati occupazionali ed economici di forte positività. C’è chi in questi giorni ci taccia di essere dei gregari ma ,non è che la questione ci consoli, in ben pochi degli altri 26 paesi può vantare delle economie “allegre” e quindi molta voce in capitolo su questa prestigiosa nomina di super ministro .In verità Mario Draghi è colui che ha guidato la BCE non bene,benissimo e ha sostenuto in inverni e autunni di scossoni sui mercati prima un programma di acquisto dei titoli di Stato e di obbligazioni aziendali da parte della Banca Centrale Europea ed ora si sta preparando con un equilibrio straordinario ad uscire morbidamente dall’emissione del quantitative easing tenendo a bada,nell’eurozona, il pericolo di un dollaro forte a causa della gestione disinvolta di Trump sparato sulla deregolamentazione finanziaria e il taglio delle tasse. In un anno l’euro ha guadagnato oltre il 14% nei confronti del dollaro anche perché l’economia europea è in ripresa e Trump si è dato una calmata. Noi adesso dobbiamo predisporre una legge di bilancio che faccia tagli strutturali non meno del 6% del prodotto interno lordo e non una legge che guarda ai voti da prendere piuttosto che a sostenere la lentissima crescita italiana. Dobbiamo ridurre il deficit e rilanciare la produttività e il lavoro lasciando il populismo elettorale ricco di orpelli elettorali a chi non ha tra i suoi obiettivi il bene del Paese. La legge di bilancio dunque ha due scopi ben chiari : la prima, investire sulle politiche attive per i giovani e le donne che aiutano nella transizione o dalla formazione al lavoro vera emergenza oggi nel mercato anche perché non dimentichiamo –dati istat ultimissimi- in Italia oggi lavora solo il 38% dei residenti; la seconda possiamo presentarci a testa alta nella discussione di una nuova Europa senza chiedere deroghe e sconti sulla pelle comunque e sempre del popolo italiano.
Paradossoitaliano:meno donne occupate e più donne negli incidenti sul lavoro
INCIDENTI SUL LAVORO- PUBBLICATO il 4 settembre su Il Diario del lavoro
Il paradosso italiano: meno donne occupate ma più morte sul lavoro
A Lucca in questi giorni due operai hanno perso la vita sul lavoro e poche ore prima un altro giovane ha avuto la stessa sorte. La notizia è molto significativa anche perché supportata dai dati INAIL di questi giorni in cui gli infortuni sul lavoro stanno aumentando, comparati ai dati del 2016 proprio un mese dopo che l’istituto aveva significativamente, presentando il suo Rapporto sull’attività annuale, illustrato le sue linee guida per contrastare sia gli incidenti sul lavoro che le malattie professionali registrati nell’anno 2016. Infatti nel 2016 le denunce d’infortunio,hanno avuto un incremento dello 0,7% rispetto al 2015 (4.201 casi in più).
La quota più consistente delle denunce 500.621 casi, (78,1% del totale) si registrava nella gestione Industria e servizi, presentando un incremento dell’1,4% rispetto l’anno precedente e ancora oggi si registrano nei settori dei servizi.
E’ interessante analizzare oggi,nella sezione “Open data” di Inail i dati analitici, delle denunce di infortuni e malattie professionali rilevati a luglio 2017; sono pubblicate anche le tabelle del “modello di lettura” con i confronti “di mese” (luglio 2016 vs luglio 2017) e “di periodo” (gennaio-luglio 2016 vs gennaio-luglio 2017). Per esempio, nel confronto “di mese”nel luglio 2017 si sono avute 46.390 denunce, con un aumento del 3,6% rispetto a luglio 2016. L’incremento è stato rilevante per i settori di attività economica: attività professionali, scientifiche e tecniche (+11,5%), fornitura di acqua, reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento (+6,7%) e Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (+5,8%).
L’analisi per classi di età evidenzia che l’aumento si concentra nelle classi iniziali fino ai 29 anni (+8%) e nelle classi dai 45 ai 69 anni (+6%). Le denunce di infortunio mortale sono aumentate di 3 unità (69 contro le 66 di luglio 2016) e per gli infortuni, confronto “di periodo” nel periodo gennaio-luglio 2017 si sono avute 380.236 denunce, con un aumento del 1,3% rispetto al periodo gennaio-luglio 2016.
L’analisi per classi di età evidenzia che l’aumento si concentra nelle classi iniziali dai 15 ai 29 anni (+3,6%) e nelle classi dai 45 ai 69 anni (+3,8%). Le denunce di infortunio mortale sono state 591, erano 562 nel 2016. La distribuzione per settore produttivo evidenzia aumenti di particolare rilievo per il complesso delle attività manifatturiere (55 contro i 46 del periodo gennaio-luglio 2016), nelle costruzioni (60 a fronte dei 50 dell’anno precedente), nelle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (17 attuali rispetto agli 8 registrati fino a luglio 2016) e nella sanità e assistenza sociale (12 contro 3) e l’analisi per classi di età evidenzia che l’aumento delle denunce è relativo alle classi tra i 25 e i 49 anni (complessivamente, per le classi in questione, si hanno 266 denunce contro le 211 del periodo gennaio-luglio 2016).
Un’ attenta analisi di genere anche di questo ultimo periodo, consolida un dato grave e cioè che più di un infortunio su tre ha interessato la componente femminile dei lavoratori (un incremento dell’1,4%). Rispetto al numero complessivo delle denunce, la quota degli infortuni in itinere, avvenuti cioè nel tragitto casa-lavoro-casa, per le donne si conferma decisamente più elevata rispetto agli uomini, sia in valore assoluto che in percentuale . L’incidenza del “rischio strada” sulle lavoratrici è ancora più marcata se si prendono in considerazione le denunce dei casi mortali: per le donne, più di un decesso su due (52,7%) è avvenuto in itinere, mentre tra gli uomini lo stesso rapporto è di circa uno su cinque .
Questo divario di genere si mantiene anche sommando le denunce dei casi mortali avvenuti in itinere e quelli in occasione di lavoro, entrambi con coinvolgimento di un mezzo di trasporto: tra le donne, infatti, quasi due decessi su tre (63,6%) sono legati al “rischio strada” rispetto al 38,8% degli uomini. Questo probabilmente perché le donne sono occupate per oltre il 50% nel ramo dei servizi, in attività solitamente meno pericolose di quelle industriali, ma comunque soggette al rischio che si corre negli spostamenti tra l’abitazione e il luogo di lavoro, anche molto frequenti e ripetuti in attività come quelle del personale domestico e di assistenza sociale domiciliare, in cui prevale nettamente la quota femminile. Segnaliamo che anche i dati sull’occupazione Istat agosto 2017 continuano a dimostrare che l’occupazione femminile non cresce :infatti tra giugno e luglio 2017 l'occupazione è cresciuta di 59 mila unità: un aumento che però non ha incluso donne e giovani. La disoccupazione femminile in particolare è relativa alle donne dai 34 anni in su, che raggiunge il 13,2% (+3,2%). Andamento inverso invece per la disoccupazione maschile che scende all’11,1% (- 2,2%). Un dato preoccupante, quello femminile, cui se ne aggiunge un altro relativo alla fascia di età: il tasso di disoccupazione giovanile, quella compresa tra i 15 e i 34 anni, torna al 40%.
L’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni – scrive l’Istat – sul totale dei giovani della stessa classe di età è pari al 10,9% (cioè poco più di un giovane su 10 è disoccupato. Noi aggiungiamo che ci sono tra i giovani le giovani donne. Il Governo deve assumersi la responsabilità di intervenire subito anche attraverso la legge di bilancio. Condivido le sollecitazioni del Presidente della Commissione lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, secondo il quale gli interventi devono riguardare i sostegni all’apprendimento: alternanza, apprendistato, assegno di ricollocazione, credito d’imposta per spese in formazione, ampliamento delle risorse e della capacità operativa dei fondi interprofessionali. Così come tutti, soprattutto le donne lavoratrici, dovrebbero beneficiare di versamenti figurativi quando la loro attività si rivolge a beni pubblici come l’apprendimento stesso, la cura dei familiari, la procreazione realizzando in tal modo anche i presupposti per l’anzianità contributiva. E ancora tutti dovrebbero avere ridotto il costo indiretto del lavoro, non per generosa e contingente concessione ma per strutturale riequilibrio tra contribuzioni e prestazioni spesso sproporzionate: sicurezza, ammortizzatori, malattia, previdenza da gestione separata Inps.
Alessandra Servidori
Un focus sulle pensioni al femminile
Alessandra Servidori Un focus sulle pensioni al femminile 31 agosto 2017
Trattamenti previdenziali sempre più stretti anche per le donne. Interessante il punto delle pensioni al femminile dopo la riforma del 2012,e da segnalare la possibilità di lasciare prima il lavoro (opzione donna) allargata dalla Legge di Stabilità anche a chi ha maturato i requisiti della ex anzianità entro il 2015, ma solo accettando un assegno più magro. A differenza degli altri Paesi, in Italia la pensione di vecchiaia è stata sempre insidiata dalle rendite d’anzianità, vale a dire i trattamenti che si possono ottenere in anticipo rispetto all’età pensionabile canonica: 60 anni le donne e 65 gli uomini, almeno nei rapporti di lavoro privato. Una particolarità destinata col tempo a scomparire, soprattutto riguardo alle donne. Già nel 2011, ad esempio, l’età anagrafica minima da accoppiare all’ anzianità contributiva utile per ottenere la pensione anticipata era di 60 anni. Una soglia pari a quella prevista appunto per la vecchiaia. L’innalzamento dei limiti di età per poter beneficiare della pensione di vecchiaia, è iniziato nel 1993 con la riforma Amato. A quel tempo, le donne italiane potevano lasciare il lavoro a 55: il limite più basso d’Europa. A partire dal 2012 è cambiato tutto. L’equiparazione dell’età pensionabile delle donne con quella degli uomini era già stata decisa con la manovra economica dell’estate del 2011 in cui era stato disegnato un percorso che doveva iniziare nel 2014 per raggiungere il traguardo nel 2026. La riforma Monti-Fornero ha accelerato quel cammino. Dal 1° gennaio 2012, infatti, l’età delle donne del settore privato (per quelle del settore pubblico si era già provveduto nel 2010) è salita a 62 anni ed è stato ulteriormente elevata a 63 anni e 9 mesi nel 2014 e 2015, a 65 anni nel 2016 e a 66 a partire dal 2018. Per le lavoratrici autonome (commercianti, artigiane e coltivatrici dirette), invece, lo scalone del 2012 è stato di 3 anni e mezzo (l’età è passata da 60 a 63 anni e mezzo). Soglia che è salita ulteriormente a 64 e 9 mesi nel 2014, poi a 65 e 6 mesi nel 2016, sino a raggiungere i 66 anni dal gennaio del 2018. A questi numeri, dal 2013 occorre aggiungere gli adeguamenti demografici all’attesa di vita. Per l’uscita anticipata dal lavoro non resta quindi che una strada: quella che la legge Maroni del 2004 (confermata dalla riforma Monti-Fornero) riserva alle lavoratrici dipendenti, con almeno 57 anni di età (autonome con almeno 58 anni), disposte a optare per il meno vantaggioso calcolo contributivo della pensione. Affinché si potesse usufruire realmente di questa scappatoia, però, era necessario raggiungere i requisiti entro il 30 novembre 2014 (30 dicembre per le dipendenti del pubblico impiego). Per questa formula, infatti, occorreva mettere nel conto la vecchia «finestra mobile» (che indica il tempo di attesa tra la maturazione dei requisiti e l’effettivo pensionamento) e, dunque, bisognava essere a posto ben 12 mesi prima (18 mesi prima le autonome). In pratica, questo significa che, dal momento che l’età da accompagnare ai 35 anni di contributi è nel frattempo salita a 57 e 3 mesi, per via del primo adeguamento alle speranze di vita, occorreva compiere i 57 anni entro agosto 2014. Ebbene, l’opzione donna, grazie alla Legge ex di stabilità ora legge di Bilancio 2017, è divenuta possibile anche per coloro che hanno maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2015, ancorché la decorrenza del trattamento pensionistico ricada in data successiva. Ultimamente ci possono essere novità sulle ipotesi di allargare la pensione anticipata 2017 a varie categorie di lavoratori e contribuenti, in modo da rendere più flessibile l'uscita dal lavoro. Ipotesi che, al momento, sono in cantiere in attesa della trattativa del tavolo delle negoziazioni di riforma delle pensioni che si concluderà con la legge di Bilancio 2018 di fine anno tavolo che si è aperto il 30 agosto. In gioco, oltre all'innalzamento dei requisiti necessari per la pensione anticipata e per le pensioni di vecchiaia dal 2019, anche le possibili variazioni a favore dei giovani (la "Fase 2" delle pensioni dell’accordo governo/sindacati), l'allargamento dell'Ape social, in attesa del decreto definitivo dell'anticipo pensionistico volontario di settembre e, infine, le misure volte ad agevolare l'uscita delle donne , per le quali dovrà trovarsi un meccanismo alternativo anche per l’opzione donna. Nel confronto aperto con i sindacati il Governo Gentiloni ritiene impraticabile la possibilità che si torni indietro sugli aumenti dei requisiti di uscita per le pensioni anticipate e di vecchiaia dal 2019. Con l'allungamento della speranza di vita e, dunque, del godimento della pensione, il meccanismo tende a spostare in avanti anche l'età di maturazione della pensione di vecchiaia e dell'uscita anticipata. Si dovranno attendere i dati demografici definitivi dell'Istat, ma la sensazione è quella che dal 2019 verranno richiesti 5 mesi in più di lavoro, con uscita per la pensione anticipata a 64 anni e per la vecchiaia a 67. Lo spostamento scongiurerebbe un pesante passivo per l'Inps e per la ragioneria dello Stato . Tuttavia, la via d'uscita potrebbe essere trovata nell'allargamento delle categorie che necessitino della pensione anticipata alle quali è riconosciuta un’ uscita anticipata attraverso l’ape sociale , meccanismo che non va ad incidere direttamente sui canali previdenziali essendo configurati, dal punto di vita della contabilità, agli ammortizzatori sociali. Comunque fermo restando l'uscita a 63 anni, si parla di un abbassamento dei requisiti contributivi. Tra le ipotesi appunto, c'è la possibilità del riconoscimento dello sconto sui versamenti fino a due anni,pertanto, nel caso di pensione anticipata con Ape social, i 36 anni necessari per l'uscita delle lavoratrici che svolgano attività faticose, diventerebbero 36. E i 30 previsti per tutte le altre categorie scenderebbero a 28. Ma solo per le donne che abbiano avuto figli.
Ripresa no, ripresina,forse,ma molto ina
Alessandra Servidori - Ripresa no, ripresina,forse,ma molto ina . 30 agosto 2017
La campagna elettorale droga i dati economici che ci vengono somministrati dai più svariati osservatori più o meno credibili sia a livello nazionale che internazionale al ritmo di pacchetti settimanali sempre più contraddittori. Sbaglia chi al Governo si lancia in proclami esaltati di ottimismo.Una propria opinione la si può avere analizzando anche la situazione che si vive a casa propria. Per esempio ,dai dati pubblicati dall’ufficio studi della CGIA la via Emilia non è più un luogo per artigiani. La “fuga” dei piccoli imprenditori, schiacciati dalla coda lunga della crisi e dalle logiche sempre più aggressive della grande distribuzione, continua infatti anche in questi mesi del 2017. E i numeri dell’emorragia sono impietosi: dal 2009 a oggi l’Emilia Romagna ha perso per strada 16.466 aziende artigiane, pari all’11,3% del totale. Erano 145mila, ora sono 128mila. Dunque il famoso “modello emiliano” è in fondo alla classifica tra le aree produttive del nord. Nessuno in questi otto anni ha visto chiudere in termini percentuali così tante piccole imprese. La Lombardia, ad esempio, con cui spesso l’Emilia si paragona, è in calo del 7%. Anche il dato nazionale è migliore, visto che il calo si ferma al 9,9%. Nell’anno che molti industriali hanno salutato come quello del definitivo rilancio post-crisi, l’Emilia-Romagna si scopre fragile al pari, se non peggio, degli altri, perché le attività artigianali in passato la regione Emilia Romagna aveva il primato sono in declino. Per il 2017 il calo delle piccole ditte è dell’1,2%, altre 1.624 sparite, e anche qui la flessione è la più alta rispetto al resto del Nord-Est. Ma il centro studi di Mestre va ancora più a fondo, spiegando come acausa della crisi siano spariti interi mestieri. Le categorie più colpite sono autotrasportatori, falegnami, edili e produttori di mobili. Mentre reggono meglio parrucchieri, estetisti, taxi e quelli che lavorano nel settore alimentare. Lungo è anche l’elenco dei motivi che hanno portato a questo crollo: La crisi, il calo dei consumi, tasse, burocrazia, mancanza di credito e costo degli affitti sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli imprenditori ad abbassare la saracinesca della propria bottega.Un ruolo, in negativo, lo gioca la grande distribuzione, perché negli ultimi 15 anni le sue politiche commerciali si sono fatte sempre più aggressive, per molti artigiani e piccoli negozianti non c’è stata via di scampo. L’unica soluzione è stata gettare la spugna. La crisi dei consumi delle famiglie ha fatto il resto. La timida ripresa del “carrello della spesa” ha toccato quasi solo ipermercati e discount, mentre la piccola distribuzione, fatta di botteghe artigiane e piccoli negozi di vicinato, resta al palo. E anche la CNA,regina dell’artigianato romagnolo, contemporaneamente denuncia contrazione del numero di imprese soprattutto le imprese artigiane sentono ancora il prezzo della crisi economica in Romagna. A dirlo è l’indagine TrenRa della Cna di Ravenna. Nel 2016 le imprese artigiane sono diminuite di 103 unità (-0,95%) ma negli ultimi otto anni il comparto ha perso il 12,1 per cento delle aziende, pari a 1.470 realtà produttive. L’emorragia continua nel 2017: il movimento anagrafico complessivo delle imprese ha visto chiudere altre 921 ditte (-2,28%) con una consistente diminuzione nel settore artigiano: -164 unità imprenditoriali (1,53%, si è passati da 10.716 a 10.552 aziende). Il settore tessile-abbigliamento-calzaturiero registra una ulteriore contrazione e chiude a -1,95% rispetto al dato del 2015.La meccanica di produzione, uno dei settori maggiormente penalizzato dalla crisi economica, vede un decremento delle imprese del settore pari al tre percento , confermando i trend negativi che hanno caratterizzato i quattro anni precedenti . Ragionando per aggregati, il settore manifatturiero (agroalimentare, sistema moda, meccanica e legno/arredo) registra una diminuzione dell’1,17%.L’edilizia, vero traino della crescita dell’Albo delle Imprese Artigiane fino al 2008, prosegue la contrazione (-1,24%), confermando le forti difficoltà del settore. Dal 2008, il comparto ha perso oltre il 14% delle imprese registrate. Per quanto concerne il settore dei trasporti, il 2015 si chiude con un decremento delle imprese iscritte all’Albo dell’1,95%, da ascriversi esclusivamente al trasporto merci (90% delle imprese del settore). Nella manutenzione e riparazione di auto e motoveicoli si registra una diminuzione dell’1,71%. Nell’ambito delle attività professionali, si registra un -0,86% per il settore informatico: un ulteriore ridimensionamento dopo la battuta d’arresto di fine 2015 (-2,50%), per un settore che nel corso del 2014 era cresciuto di quasi il 2%.Questo spaccato di dati ci fa capire che in pochi si azzardano a chiamarla ripresa economica - ad eccezione ovviamente del governo - ma dopo un decennio di crisi qualcosa si sta finalmente muovendo. Il termine più usato dagli economisti è quello di “ripresina”, proprio per sottolineare i molti ostacoli che la congiuntura italiana deve ancora superare prima di poter dichiarare il cessato allarme.L’aumento del Pil potrebbe essere di circa un punto percentuale nel 2017 ma è evidente che non è un tasso di crescita soddisfacente ma per ora bisogna accontentarsi e questa è la verità.La crescita del Pil sia trascinata soprattutto dal buon andamento delle esportazioni, mentre il mercato interno continua a fare molta fatica. Le famiglie più povere, le aziende più deboli e il Mezzogiorno stanno ancora soffrendo. Si tratta di un’ampia fetta del Paese che non partecipa alla ripresa economica, un fenomeno peraltro che non si registra solo in Italia ma in tutto l’Occidente.Dai dati che ci giungono dgli Stati Uniti, dove il Pil è in forte crescita da moltissimi trimestri Apple, Facebook e Google scoppiano di salute ma danno da lavorare a poche decine di migliaia di persone. La vittoria di Trump è figlia delle crescenti diseguaglianze all’interno della prima economia al mondo e della perdurante crisi di moltissime famiglie. in Italia si potrà affermare che la ripresa sarà solida e sostenibile solo quando ci sarà una ripresa del mercato del lavoro: e di questo per ora non c’è traccia, anche perché l’automazione e la sempre maggiore diffusione del lavoro precario rendono ancora più difficile la riduzione della disoccupazione. Dunque la timida ripresina cerca di esistere ma non può essere esaltata; continuerà a esserlo fino a che l’Italia non riuscirà a superare alcuni ostacoli a partire dalla riduzione della spesa pubblica improduttiva e dunque quando vedremo scendere il debito pubblico e utilizzare le risorse risparmiate per tagliare il cuneo fiscale, allora si potrà iniziare a pensare a una ripresa vera e propria. Fino ad allora si andrà avanti con una congiuntura trainata solo da alcuni settori, come per esempio il turismo e l’agroalimentare. Infatti è necessario adottare politiche di lungo periodo per attrarre investimenti stranieri e creare occupazione. I governi pensano troppo al breve termine; adesso sarebbe invece il momento di ridurre il debito pubblico con interventi strutturali, perché un contesto di tassi bassi come quello attuale difficilmente si ripeterà in futuro.
Legge di bilancio :cantiere ormai chiuso
Alessandra Servidori Agosto 26 -2017
LEGGE DI BILANCIO : il meething di Rimini è il cantiere-ormai chiuso- della manovra
C’è chi dice-e non a torto- che di politica non se ne fa più,neanche alle feste dell’Unità dove i compagni del pd si parlano tra di loro,ma c’è un appuntamento a fine estate che raccoglie non solo il popolo di comunione e liberazione (tantissimi giovani) ma chi vuol scoprire quali sono i rumors del prossimo autunno dei palazzi. Così si viene a sapere, soprattutto dalle parole di ministri illuminati come Calenda, cosa bolle nella pentola della temuta legge di bilancio.L’impianto base è ormai pronto. Due assi portanti la prima è il dimezzamento dei contributi previdenziali pagati dalle imprese per tutti i nuovi assunti al di sotto dei 32 anni. Il maxi sconto durerebbe per i primi due anni di contratto, anche se resta in piedi l’ipotesi di un periodo più lungo, fino a tre anni. E farebbe scendere l’aliquota contributiva dal 30-33% di adesso, c’è una leggera variazione a seconda dei casi, giù fino al 15%-17,5%. Lo sconto non potrebbe comunque superare i 3.250 mila euro l’anno. Il taglio dei contributi non avrebbe effetti sulla futura pensione del lavoratore. La somma non versata dall’azienda sarebbe coperta dallo Stato. Ed è per questo che l’operazione ha un costo: intorno al miliardo di euro per il primo anno, sui due miliardi una volta a regime. Una volta passati due anni dall’assunzione con il maxi sconto a differenza di quanto fatto con il Jobs act, resterebbe comunque una riduzione dei contributi,contenuta di 4 punti percentuali rispetto all’aliquota standard del 30-33%, per scendere quindi al 26-29% e destinata a durare fino alla fine della carriera, anche se il dipendente cambia azienda. E con un effetto da dividere in due parti: per metà a vantaggio delle imprese come riduzione dei contributi da versare; per l’altra metà a vantaggio del lavoratore con un aumento della sua busta paga. L’intervento ridurrebbe il costo del lavoro in modo stabile: i nuovi lavoratori a costo più basso rimpiazzerebbero progressivamente quelli, più costosi, che lavorano già e con un meccanismo stavolta simile al Jobs act, con la progressiva sostituzione dei lavoratori tutelati dal vecchio articolo 18 con quelli che hanno il nuovo contratto a tutele crescenti.Ma a conti fatti avrebbe un costo molto più alto rispetto allo sconto biennale e dunque in alternativa alla sconto di 4 punti per tutta la vita si potrebbe puntare sull’apprendistato, che nei primi cinque mesi dell’anno è cresciuto del 27%. Il dimezzamento dei contributi sarebbe legato all’assunzione stabile degli apprendisti, al termine del periodo massimo di durata del contratto, che è di tre anni. Anche l’apprendistato ha un peso dei contributi molto basso, il 10%. In caso di stabilizzazione l’aliquota salirebbe al 15/17,5%. Più cara ma comunque molto più vantaggiosa rispetto a quella standard, rappresentando un forte incentivo alla stabilizzazione. Altra misura pronta è sui centri pubblici per l’impiego: stabilizzando 1.500 precari e assumendo altre 1.600 persone reduci dalle Province, più anche i dipendenti di Anpal, l’Agenzia per le politiche attive del lavoro, con un finanziamento per Anpal servizi di 20 milioni di euro l’anno. Altra spesa è l’assegno di ricollocazione, il bonus in formazione per i disoccupati che accettano di riconvertirsi ,poiché finita la sperimentazione su base individuale - che ha dato pochi risultati , con un’adesione intorno all’8% - lo strumento dovrebbe essere indirizzato verso le crisi aziendali, come per esempio nell’unico caso in cui è stato utilizzato, Almaviva, dove ha dato risultati molto migliori, con un’adesione vicina al 90%.In buona sostanza in un clima elettorale già molto spinto il governo sta predisponendo una legge di bilancio molto pesante sul versante della spesa ed elettoralmente leggera sui sacrifici. L’Italia non può permettersela perché fino ad ora NON ha dimostrato di saper risanare i conti pubblici e la manovra dovrebbe per essere credibile trovare oltre 30 miliardi di risorse per diminuire il cuneo fiscale ,sostenere i giovani e gli investimenti. Calenda a Rimini,lo ha detto,e con non poco coraggio,sconfessando un bel po’ i facili entusiasmi dei suoi disinvolti colleghi
Dalla parte di Laura Boldrini e non solo
ALESSANDRA SERVIDORI Dalla parte di Laura Boldrini e non solo
La Presidente della Camera Laura Boldrini ha denunciato chi l’ha offesa sul web e così promuove una più che giusta azione legale e, si spera, una legge che punisce tutti coloro che subiscono questa violenza. Peraltro la Commissione Europea lo aveva auspicato alla fine dello scorso anno: bisogna fare di più contro gli incitamenti all'odio. I destinatari dell'invito erano i Big dei social network e dell'industria hi-tech, Facebook, Google, Microsoft e Twitter. Oggi la Germania traduce il semplice invito in legge approvata e destinata ad entrare in vigore a partire da ottobre .L'hanno soprannominata "legge Facebook", ma i destinatari sono tutte le compagnie che gestiscono un social network. Punto centrale della normativa è l'obbligo di tempestiva rimozione dei messaggi che incitano all'odio, onde evitare l'applicazione di una sanzione pecuniaria a carico dei gestori che può arrivare ad un massimo di 50 milioni di euro.In base alla normativa, le compagnie avranno l'obbligo di rimuovere entro 24 ore i contenuti "evidentemente illegali".In tale definizione rientrano discorsi di odio, diffamazione e incitamento alla violenza. La sanzione pecuniaria minima sarà di 5 milioni di euro, ma potrà arrivare al massimo citato. In presenza di contenuti che non palesano in maniera evidente la loro illegalità, i gestori del social network potranno valutare il caso entro un termine massimo di una settimana. Dunque la Germania ancora una volta, indica la strada non a parole ma a fatti,senza aver nessun timore di ledere – come alcuni social network hanno protestato- il diritto di espressione. Certo è che è necessaria, come peraltro ha ben interpretato Boldrini, la pressione politica sugli operatori che gestiscono le grandi piattaforme che devono essere puniti penalmente se non adempiranno ai loro obblighi. Il Parlamento tedesco ha approvato la misura secondo la quale se 24 ore dopo aver ricevuto una segnalazione, il social non rimuove il post offensivo,appunto rischia una sanzione milionaria; inoltre, il testo prevede che dopo la cancellazione degli insulti nei sette giorni successivi il social deve provvedere a bloccare altri contenuti offensivi. La normativa, tocca una delle attività più delicate di social media come Facebook, Twitter, LinkedIn e Instagram, che incoraggiano da una parte la comunicazione e la libertà di espressione - anche e soprattutto per ragioni economiche - e dall’altra sono alle prese con le recenti polemiche sull’utilizzo a vario titolo improprio della comunicazione sui social: dalle fake news utilizzate a fini politici , alle frequenti ingiurie che costellano le time line dei profili e delle pagine dei social. Nell’ordinamento giuridico della Germania, sono presenti misure particolarmente dure nei confronti di diffamazione, incitamento all’odio nei confronti di minoranze o alla delinquenza e alla violenza, comprendenti anche la negazione dell’Olocausto. Tuttavia, come sottolinea l’agenzia di stampa Reuters, sono pochi i casi di soggetti finiti davanti ai tribunali. In Italia si sta timidamente pensando ad un disegno di legge per tracciare gli utenti dei social network e sappiamo bene che la questione ovviamente non riguarda solo la Germania: negli Stati Uniti hanno fatto discutere negli ultimi giorni i criteri di selezione dei commenti rimossi da parte di un social media come Facebook, che non ha rimosso un post con le frasi del repubblicano della Louisiana Clay Higgins contro i musulmani “radicalizzati”: «Cacciateli, identificateli e uccideteli!» mentre ha cancellato il post del poeta bostoniano e attivista nero Didi Delgado , in cui accusava tutti i bianchi di essere razzisti. Dunque non sfugge a nessuno il potere discrezionale di orientare o meno l’informazione e soprattutto di pressione politica L’accountability dei social in questa materia è fondamentale: sia per la costituzione di un rapporto di fiducia nei confronti dei singoli utenti che nei confronti degli inserzionisti pubblicitari. Facebook, in particolare, ma anche le altre piattaforme stanno conquistando fette di mercato sempre più ampie ai canali e ai media tradizionali. E dunque è anche una questione di mercato ma un governo serio , che ha responsabilità e coraggio procede e tutela i suoi cittadini. Ricordiamo poi che un segnalo chiaro che dovrebbe far riflettere quelli che continuano a pensare che attraverso i social sia lecito l’insulto indiscriminato, e chiunque può dire qualunque cosa come se si fosse tutti chiusi nello spalto di uno stadio,lo ha dato la prima sezione penale della Cassazione . La Corte ha specificato in una sentenza (n. 50 del 2 gennaio 2017) che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “Facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e quindi di esclusiva competenza del tribunale penale, poiché si tratta di «condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone». È chiaro che non dovrebbero essere la paura delle sanzioni, ma una maggiore cultura digitale a far riflettere i “leoni da tastiera”, ma è sempre bene che anche chi interpreta il diritto si renda conto che ciò che avviene in rete non riguarda più una parte esclusiva della società ma comporta effetti reali nella vita di qualsiasi cittadino.
Non rassegnarsi mai!
Alessandra Servidori
Contro le donne : non rassegnarsi. Mai. E su la testa
Il recente attacco terroristico in Finlandia ha avuto come vittime 4 donne pugnalate da un islamista e la questione dell’odio verso le donne occidentali da parte dei musulmani integralisti è una realtà da combattere e in maniera decisa. I 27 partner europei in occasione del 60esimo dei Trattati di Roma celebrato il 25 marzo hanno discusso di come la comunità europea possa andare avanti a più velocità. Ma già l'Europa viaggia a due velocità in merito all’eguaglianza o meglio alle diseguaglianze di genere; come ha confermato la “Relazione sulla parità tra donne e uomini nell'Unione europea nel 2014-2015” preparata dalla Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere del parlamento europeo, approvata lo scorso febbraio e portata alla discussione in aula in marzo.Il punto di partenza sarebbe, enuncia la relazione, “che la parità tra donne e uomini è un diritto fondamentale sancito dal trattato sull'Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali; che al riguardo l'Unione europea si prefigge di garantire pari opportunità e parità di trattamento tra uomini e donne e di combattere qualsiasi discriminazione fondata sul sesso”. Nella breve sintesi finale del documento si afferma che “come mostrano le ultime statistiche, l'Unione europea è solo a metà strada verso l'effettiva parità di genere. Secondo l'indice sull'uguaglianza di genere per il 2015 elaborato dall'EIGE (l’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere, ndr), il punteggio complessivo dell'UE in materia di parità di genere è di 52,9/100, con un aumento di 1,6 punti dal 2005, ovvero si sono registrati progressi quasi nulli in materia. Il divario retributivo tra uomini e donne resta pari al 16,5 % e, secondo Eurostat, in alcuni Stati membri tale divario è addirittura aumentato negli ultimi cinque anni. Il divario pensionistico tra uomini e donne è pari al 40%, un livello allarmante. Ancor più preoccupante è il fatto che in metà dei paesi dell'UE il divario pensionistico sia aumentato e che una percentuale compresa tra l'11 e il 36 % delle donne non abbia accesso alla pensione. La percentuale di giovani donne né occupate né iscritte a corsi di istruzione né in cerca di lavoro è oltre il doppio rispetto ai giovani uomini (11 % e 5 % rispettivamente). Secondo l'EIGE, il maggiore divario tra uomini e donne in Europa è dovuto alla scarsa rappresentanza femminile nelle posizioni decisionali e di potere in campo economico, il che evidenzia la scarsa integrazione della prospettiva di genere nelle politiche economiche dell'UE.L'UE si è posta l'obiettivo del raggiungimento della parità di genere ma dal 2005 “il risultato complessivo è salito da 51,3 a 52,9 su 100”, siamo lontani dal “centrare gli obiettivi di Europa 2020”, afferma la relazione che non può altro che registrare come “mancano solo tre anni al 2020 e se l'UE continua a compiere progressi a questo ritmo gli obiettivi della strategia Europa 2020 non verranno conseguiti. La Commissione ha stimato che, al ritmo attuale, saranno necessari altri 70 anni prima di conseguire la parità di retribuzione, 40 anni prima di ottenere un'equa condivisione dei compiti domestici, 30 anni prima di raggiungere un tasso di occupazione femminile del 70 % e 20 anni prima di realizzare l'equilibrio di genere in politica. Non è possibile aspettare decenni prima di conseguire una reale parità di genere in Europa.E soprattutto non è tollerabile che i governi europei non assumano provvedimenti anche economici per sostenere il lavoro femminile ( sostegno e detrazioni fiscali alle aziende che assumono donne,incentivi alla flessibilità dell’organizzazione del lavoro) e incentivi per la cultura del rispetto delle donne nelle scuole e nei percorsi di formazione professionale.
Eppure cresce,cresce il debito italiano
Alessandra Servidori Eppure cresce,eccome che cresce!! Il debito italiano.
In questo mese di agosto i giornaloni hanno raccontato agli italiani in ferie che l’economia italiana si sta riprendendo ma contemporaneamente leggiamo che un nuovo record del debito pubblico italiano svetta gagliardo: a giugno era pari a 2.281,4 miliardi, in aumento di 2,2 miliardi rispetto al mese precedente. «Colpa» del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (8,4 miliardi), che è stato compensato soltanto in parte (per 6,3 miliardi) dalla diminuzione delle disponibilità liquide del Tesoro, che sono scese a 52,6 dai 92,5 miliardi di fine giugno 2016. In particolare, è salito di 4 miliardi il debito delle Amministrazioni centrali, mentre quello delle Amministrazioni locali è diminuito di 1,9 miliardi. Invariato il debito degli Enti di previdenza. Il dato è del bollettino della Banca d’Italia «Finanza pubblica, fabbisogno e debito». A febbraio 2012, il debito era di 1.928 miliardi: in poco più di 5 anni è cresciuto del 15 per cento. E mentre il debito sale, scendono gli incassi per l’Erario nel primo semestre dell’anno. A giugno, le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari a 31,6 miliardi (inferiori di 13,5 miliardi a quelle rilevate nello stesso mese del 2016). Nei primi sei mesi del 2017 le entrate sono invece state 186 miliardi, in calo del 5,8 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2016. Il peggioramento, spiega via Nazionale, è principalmente imputabile allo slittamento delle scadenze per il versamento di alcune imposte e torna a scendere il portafoglio di titoli di Stato italiani detenuti da investitori stranieri. Secondo Bankitalia, a fine maggio il controvalore dei titoli governativi italiani detenuti da investitori non residenti risultava pari a 663,471 miliardi rispetto ai 665,120 di fine aprile dopo che a marzo il dato aveva toccato il minimo di tre anni a 662,982 miliardi. Per trovare un importo inferiore a quello segnato a marzo occorre risalire ai 655,900 miliardi di marzo 2014.Così cerchiamo di capire e meglio che sta succedendo perché “il popolo non è bue!”.Ma cosa succede in Europa: negli ultimi cinquanta anni la spesa pubblica è cresciuta significativamente, ammontando a circa il cinquanta percento del Pil nei paesi della zona euro. In questi paesi sono state avviate numerose esperienze di revisione della spesa, volte al suo contenimento e al miglioramento della sua efficienza ed efficacia, hanno cercato di individuare modalità e meccanismi di miglioramento della produttività delle amministrazioni pubbliche sia statali che territoriali. In tal senso, la Commissione Europea considera la valutazione e il monitoraggio della performance delle amministrazioni pubbliche una condizione necessaria per migliorare la qualità della finanza pubblica e favorire la crescita economica. L’OCSE sottolinea l’importanza della valutazione della performance dell’azione pubblica come strumento di accountability.Quando si affronta la misurazione della performance delle amministrazioni pubbliche ci si scontra con difficoltà di vario tipo tra cui la misurabilità dell’output delle amministrazioni pubbliche caratterizzate da obiettivi multipli, la scelta di metodologie statistico-econometriche adeguate, l’entità dei costi di raccolta di dati. Inoltre la misurazione dell’attività pubblica suscita diffidenza da parte dei governi soprattutto quando utilizza tecniche troppo sofisticate e complesse – oltre che una certa riluttanza, probabilmente legata a motivi elettorali o di mediazione politica, a definire obiettivi in modo preciso, ad attuare politiche pubbliche fondate prevalentemente sugli esiti di queste metodologie o ad escludere attività politicamente sensibili che presentano maggiori difficoltà di misurazione. In alternativa a queste tecniche, i governi di vari paesi OCSE, tra cui l’Italia, hanno favorito l’adozione di metodi statistici basati sul calcolo dei fabbisogni e livelli standard di spesa e dei servizi pubblici, su cui incardinare non solo la valutazione della performance delle amministrazioni locali ma anche il sistema di perequazione.Dunque in Italia la determinazione dei fabbisogni standard rappresenta un aspetto fondamentale nel processo di costruzione del decentramento, così come definito dall’articolo 119 della Costituzione e dalla successiva legge delega n.42 del 2009 in materia di federalismo fiscale, in particolare nelle relazioni finanziarie tra il governo centrale e i livelli di governo locale (Comuni e Province). Uno dei punti principali della Legge n. 42 del 2009 è il superamento graduale del criterio della spesa storica per finanziare gli enti locali, attuato dal D. lgs. n. 216 del 2010, che stabilisce che la loro spesa per le funzioni fondamentali (servizi generali dell’amministrazione, edilizia scolastica, polizia, raccolta e smaltimento dei rifiuti, trasporto, servizi sociali) ed i livelli essenziali delle prestazioni (attualmente solo definiti in sanità con i LEA ) sia garantita attraverso il finanziamento integrale sulla base dei fabbisogni finanziari standard. In altri termini, l’entità dei costi di fornitura dei servizi pubblici degli enti deve essere determinata sulla base di criteri standardizzati per evitare le distorsioni generate dal criterio della spesa storica, limitare il finanziamento di sprechi e inefficienze e favorire il principio dell’uguaglianza tra i cittadini nell’esercizio nell’accesso ai servizi essenziali. Dopo vari passaggi legislativi e barocchi e complessi e burocratici si è arrivati utilizzando un approccio econometrico a individuare il fabbisogno standard derivato a partire dalla stima della spesa storica effettiva dei servizi forniti dagli enti. L’obiettivo della stima dei fabbisogni standard è di individuare le componenti di spesa che sono direttamente influenzate da bisogni specifici o costi di produzione locali, cui corrispondono differenziali di finanziamento tra enti locali. Esso viene calcolato per ogni funzione fondamentale a partire da una serie di fattori che hanno determinato in maniera significativa la spesa storica quali la dimensione e la struttura demografica e socio-economica della popolazione, la rete infrastrutturale di sostegno, la configurazione geografica del territorio e i servizi offerti e i conseguenti performance e a volte delle best practices .Bisognerebbe verificare la presenza di serie inefficienze tecniche e allocative nella fornitura dei servizi, e verso quelli under-standard, per valutare che le risorse aggiuntive che ottengono nella perequazione vengono effettivamente spese per aumentare e/o migliorare la fornitura dei servizi e si spera, a migliore il rendimento delle istituzioni pubbliche. E’ apertissimo il problema della qualità del servizio offerto, che al momento questi indicatori non riescono a catturare. A questo si aggiunge che per una valutazione adeguata della performance bisognerebbe tener conto anche del contesto ambientale in cui operano le amministrazioni che, a parità di competenza e di spesa, possono non essere in grado di fornire lo stesso servizio. Sarebbe indispensabile, per arrestare la lievitazione della spesa pubblica e dunque del debito misurare veramente a livello territoriale e nazionale l’indicatore della qualità dei servizi pubblici ed una serie di indicatori di contesto economico, sociale e politico-istituzionale che forniscono informazioni preziose e arricchiscono il quadro informativo sull’azione pubblica e poi razionalizzare le risorse. O così o non ne veniamo fuori dallo sperpero .
Le imprese cercano tecnici ma calano le iscrizioni agli istituti professionali
Alessandra Servidori
Le imprese cercano tecnici ma calano le iscrizioni agli istituti professionali
Una notizia appena appena apparsa sui giornali e non sicuramente in prima pagina ci deve preoccupare non poco. Le iscrizioni alle scuole superiori per l’anno scolastico 2017/2018 dimostrano che le scelte degli studenti sono verso i licei classici e scientifici e calano vertiginosamente negli istituti tecnici dimostrando così che l’orientamento scolastico è totalmente fallito e le richieste delle imprese piccole e medie di figure professionali tecniche andrà ancora una volta inevasa .Ai miei studenti che si laureano in giurisprudenza raccomando sempre di non pensare solo di fare tutti l’avvocato ma di imparare anche un mestiere. L’una scelta non esclude l’altra,ma apre comunque la testa e la via per trovare lavoro. I dati del MIUR parlano chiaro : il dominio dei licei con lo scientifico fra indirizzo “tradizionale”, opzione scienze applicate e sezione sportiva resta in testa alle preferenze con il 25,1% (erano il 24,5% lo scorso anno), mentre il liceo classico rialza la china da 6,1% a dello scorso anno a 6,6% di quest’anno. Invece, il 15,1% di oggi agli istituti professionali rispetto al 16,5% dello scorso anno con la diminuzione degli istituti tecnici, dimostra che i ragazzi pensano che non c’è alcuna garanzia di posti di lavoro con il tecnico ,perciò scelgono i licei per avere una cultura più generale per poi girare il mondo. I nostri giovani si illudono sulla continuità del benessere che si sono trovati e nessuno spiega loro che in Italia abbiamo bisogno di figure specialistiche: sono i giovani che arrivano dall’Est che accettano i lavori che i nostri rifiutano o comunque i nostri giovani non hanno il profilo professionale richiesto. E’ ovvio che il problema sia l’orientamento fin dalla scuola media, che non aiuta i ragazzi a prendere in considerazione strade diverse e richieste dal mercato del lavoro e anche gli insegnanti hanno le loro colpe insieme ai genitori. Fin quando nei nostri istituti e nelle famiglie si continua a dire che quelli bravi devono andare al liceo, i meno bravi ai tecnici professionali,sbagliamo e non valorizziamo una serie di percorsi che possono essere di qualità che comunque passano prima di tutto dalla formazione dei docenti che devono migliorare l’orientamento scolastico. Le famiglie provano ad indirizzare i figli verso il liceo in prospettiva dell’Università, e comunque le imprese pensano che oggi serve il perito o il diplomato al professionale e domani se vuoi competere servono laureati. Ma il problema vero sta nell’utilizzo del Fondo Sociale Europeo che all’istruzione e formazione professionale potenzialmente abbraccia una vasta gamma di attività. I nuovi programmi di studio devono poter offrire ai giovani migliori opportunità e gli insegnanti ricevono dal FSE europeo formazione per migliorare il proprio rendimento. Oltre a ricevere un’istruzione di base, gli studenti devono poter apprendere competenze più specifiche che li aiuteranno a scegliere il percorso professionale che desiderano e a occupare le posizioni richieste dalle imprese. Il ’FSE sta aiutando università e istituti di formazione professionale a consolidare i rapporti con imprese e datori di lavoro a livello nazionale o regionale, in modo che sia i laureati che i diplomati possano vivere una transizione più facile dalla scuola al mondo del lavoro,ma sono i contenuti dei moduli che devono cambiare. Alcuni progretti FSE, sostengono la ricerca e lo sviluppo per aumentare il numero dei giovani imprenditori e innovatori, soprattutto nei settori altamente tecnologici. Oltre a dare un impulso ai sistemi di istruzione, il’FSE si concentra anche sui loro beneficiari: scolari, studenti universitari, lavoratori e disoccupati bisognosi di formazione e nuove competenze. Molti progetti della Ue si propongono di ridurre l’abbandono scolastico e dotare i giovani di competenze e qualifiche adeguate, soprattutto tra i gruppi vulnerabili, come le minoranze e gli immigrati. Altri fanno in modo che a lavoratori e disoccupati siano offerte opportunità di apprendimento permanente in modo da mantenere le loro competenze aggiornate man mano che l’economia e le necessità delle imprese evolvono. Certo che l’obiettivo si raggiunge con una maggiore professionalità degli insegnati e un rapporto strettissimo con il territorio le istituzioni e le imprese e non proponendo moduli formativi obsoleti per incapacità degli enti di formazione di innovarsi. Il Ministro Fedeli ha annunciato un Piano di innovazione straordinario dei percorsi di formazione professionale per il prossimo anno : bisogna fare in fretta per sostenere il nostro Paese e i nostri giovani.
A Bologna : no all'illegalità
Alessandra Servidori NO all'illegalità
La politica bolognese è in difficoltà, come nel resto d’Italia, e deve aprirsi maggiormente ai cittadini e al dialogo con le tantissime associazioni anche alla luce dei recenti avvenimenti. Mi riferisco sia all’episodio di Labàs (la Caserma occupata da un sedicente Centro Sociale denominato Labas, balzato alle cronache italiane), sia alle diatribe interne ai partiti sia locali sia nazionali. È chiaro che non è più tempo di proclami, ma è ora di sporcarsi le mani.
Solidarizzare con il Centro Sociale Labas significa arrendersi all’illegalità e alla sopraffazione mentre altre iniziative assai meritevoli e veramente sociali sono state soffocate sul nascere. Una per tutte quanto è stato fatto dall’associazione “NoituttiperBologna” contro il degrado: abbiamo operato per un anno alla Palazzina dei Giardini Margherita, poi ci hanno tolto la sede e ora è in balia di escrementi e di fricchettoni.
È indispensabile essere dalla parte delle forze dell’ordine e del rispetto delle regole. Occorre “metterci la faccia”, che significa, prima di tutto, avere il coraggio delle proprie scelte e delle proprie azioni. Da una amministrazione responsabile ci si aspetta che interpelli e sostenga chi non fa valere le proprie istanze con prepotenza, per meglio comprendere quali sono le vere emergenze, in questo caso della Città metropolitana, e come possiamo essere di reciproco supporto nel superarle.
Ci sono emergenze che vanno affrontate con urgenza: per esempio la solitudine degli anziani e dei loro caregiver, visti anche i dati recenti che vedono i nuclei unipersonali superare le famiglie non solo sotto le due torri, dove l’incremento della natalità non è sufficientemente favorito dal punto di vista fiscale e dei servizi.
Ancora, pensiamo ai giovani e alle loro difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro, ai piccoli imprenditori, alla necessità di favorire esperienze, sia nei centri storici, sia nelle periferie, che, in collaborazione con le associazioni e i cittadini stessi, siano la chiave per superare le situazioni di degrado urbano e sociale che impera e oltraggia la bellezza delle nostre terre